sabato 22 ottobre 2022

Il colibrì

Francesca Archibugi

Questo colibrì non vola. Il romanzo di Sandro Veronesi si caratterizza per un continuo passare da un tempo all’altro, mescolando gli stili; nel film Il colibrì Francesca Archibugi ha mantenuto questa pluralità di linee temporali saltando continuamente fra i periodi della vita della vita del protagonista Pierfrancesco Favino, e dei personaggi che gli ruotano intorno. Il progetto è ingegnoso e (nella seconda ora, quando il film comincia un minimo a funzionare) perfino maestoso. Purtroppo s’infrange a causa di una serie di inabilità.
La prima: il film non riesce a costruire una narrazione convincente, neppure sul piano dell’interlinearsi dei tempi: il montaggio ha un'eleganza di raccordo in alcuni passaggi (come un’uscita di scena/l’aprirsi di una porta molti anni dopo) ma più spesso lascia un’impressione di freddezza. In generale, si sente nel film una mancanza di nerbo, nonostante l’urlare delle attrici. Il peggio è l’apparizione di Massimo Ceccherini, col suo cappellaccio da zingaro in mezzo alle comparse in frac, che trasporta il film su un piano narrativo grottesco altrimenti assente (è vero che abbiamo già incontrato il personaggio da giovane: ma non con questa pesantezza).
La seconda, correlata, è appunto l’incapacità di costruire personaggi forti sul piano drammaturgico, ossia con uno spessore umano agli occhi degli spettatori (un film drammatico dove sembrano tutti matti o è Qualcuno volò sul nido del cuculo o è scritto male). La terza sta nella direzione degli attori, con molte interpretazioni che variano dall'inconsistente all’eccessivo. Pierfrancesco Favino è misurato – anche troppo – e resta il migliore in campo (assieme a Bérénice Bejo, che però è francese, altra classe). Nanni Moretti sorprende: come attore, Moretti fa sempre Moretti, ma dopo una pessima prima apparizione in cui tocca la comicità involontaria assume una concretezza (buona in particolare la scena del tennis).
L’aspetto più strano e meno convincente di tutto il film è che questi personaggi, esponenti di un’alta borghesia colta e ricca, vivono la loro vita in una sorta di vuoto pneumatico. Non c’è la religione, qui nemmeno negata ma superata tout court, ignorata (salvo una battuta) come una di quelle cose defunte cui non si pensa più; non c'è la politica; ma nemmeno quella spiacevole impicciona che si intromette e ci sovrasta, che è la Storia. Al di là di un paio di riferimenti alle mode veramente minimi, in questa storia non entra la Storiao solo in una fuggevole sequenza, quando il protagonista alla frontiera è misteriosamente scambiato per un terrorista. Coil film ricorda quel cinema muto italiano d’anteguerra chiuso in una bolla di “lusso e fasto” dove
le attrici si attaccavano alle tende.

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