Ruben Östlund
Ruben
Östlund, regista-sceneggiatore di ironia fredda e affilata e di
tempi dilatati e sfuggenti, dopo Forza maggiore ha raggiunto la fama
con The Square, una satira feroce dell’arte contemporanea e
contestualmente della società svedese. C’era in quel film una
pluralità di linee narrative che si trasformavano l’una
nell’altra; lo stesso si ritrova, amplificato, nell’ottimo
Triangle of Sadness, vincitore a Cannes: una commedia grottesca (che
riprende la fusione di tragico e di comico tipica di tutto il cinema
di Östlund) sorprendente nei lucidi zigzag “anticlassici” dello
svolgimento. Il film cambia capricciosamente direzione, assumendosi
dei rischi – ma funziona. Vediamo dapprima un'apertura che fa a
pezzi il mondo dei modelli e della moda, così come The Square faceva
coll’arte d’oggi. Ci spostiamo poi a un diverbio – a scrivere e
dirigere le discussioni Östlund è sempre geniale – fra Yaya,
modella e influencer, e il suo detestabile fidanzato, più giovane e
di minor successo, Carl. Litigano sul pagare il conto al ristorante,
e sembra scritta da un Woody Allen cannibale.
Poi,
con brusca svolta, il film porta Carl e Yaya in crociera su una nave
di lusso, popolata di caratterizzazioni perfidamente impagabili, che
rappresenta una galleria sarcastica di tardo capitalismo
galleggiante. Complice una tempesta, tutto il complesso sistema della
nave (tanto sul piano materiale quanto su quello dei rapporti di
classe) va a catafascio in una pagina di progressiva distruzione,
finendo in vomito scivoloso e liquami che travolgono tutto, come in
una perversa parodia del Titanic. Ci aspettiamo il naufragio ma non
va proprio così: la mattina dopo, a mare calmo, ci si mettono i
pirati. Dopo l'inevitabile naufragio, ecco ancora un cambio di
direzione: la società dei pochi sopravvissuti su un’isola viene
ristrutturata sulla base della dura necessità elementare/alimentare.
E’ un po’ Il signore delle mosche fra adulti (c’è pure
l’accenno al ritorno alla preistoria con i graffiti sulla roccia),
ma anche una lezione di marxismo applicato – ovvero il contrario
del buonismo rousseauiano – il tutto nella luce spettrale dello
humour nero.
Esistono
nel cinema battute che si assolutizzano come segno di contatto e
riconoscimento, dal “Guerrieriii…” di Walter Hill al “Vieni a
giocare con noi?” di Kubrick, e aggiungo solo il memorabile grido
“Rent-a-neko! Neko neko!” di Ogigami Naoko (Rent-a-Cat). Bene, se
questo film avrà sufficiente successo, i cinefili potrebbero
comunicare con un “In den Wolken!” declinato in tutti i possibili
significati.
Però
la vita ha aggiunto un tocco tragico al film: l’interprete di Yaya,
Charlbi Dean, è morta a 32 anni per un’improvvisa malattia questo
agosto.
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