Roberto Andò
Il
teatro dice bene al cinema italiano. L’anno scorso è uscito il
notevole Qui rido io di Mario Martone, con Toni Servillo, su Eduardo
Scarpetta, ove la vita del commediografo napoletano e le sue commedie
sul palcoscenico si rispecchiavano. Ora Roberto Andò sviluppa
ulteriormente il dialogo fra l’invenzione teatrale e la realtà
(ove la realtà è quella del racconto cinematografico: ossia una
realtà di secondo grado) nell’ottimo La stranezza.
Luigi
Pirandello (ancora Servillo, di grande adesione psicologica oltre che
somiglianza fisica) è depresso, per i dolori della vita privata e
perché non trova il modo di esprimere sul palcoscenico la sua
ripulsa della forma teatrale tradizionale, ed è tormentato dai
fantasmi dei suoi personaggi, cui “dà udienza” (“Sono molto
esigenti”). Incontra, nell’esercizio del loro mestiere, due
becchini di provincia (due inediti e notevoli Ficarra e Picone)
abituati a muoversi in un ambiente di corruzione (mazzette per i
loculi!), i quali sono appassionati di teatro, e mettono in scena una
rappresentazione di filodrammatici, alla quale invitano il maestro.
In
questa sciagurata rappresentazione vengono a conflitto teatro e vita;
la realtà personale fa esplodere comicamente i ruoli prefissati, in
seguito a litigi che mandano a gambe all’aria la finzione scenica.
Ovvero, involontariamente si ripropone il grande tema del teatro
pirandelliano, il rapporto fra il personaggio e l’esistenza.
Pirandello osserva; di lì a poco presenterà a Roma, davanti a un
pubblico tumultuante, Sei personaggi in cerca d’autore.
Questo
mettere in scena il teatro e il suo rispecchiamento nella realtà
(tramite la forma cinema) ci fa venire in mente un film ingiustamente
dimenticato, La locandiera (1944) di Luigi Chiarini, in cui, nel
finale, Carlo Goldoni stesso veniva incoraggiato a un teatro di
realtà dall’osservare la vicenda tragicomica (la storia della
locandiera!) cui assisteva dal vero.
E
c’è qualcosa di più. Già di per sé, e a prescindere dalla
rappresentazione teatrale, queste persone (come tutti noi) sono,
pirandellianamente, portatori di ruoli e di maschere; la comicità
acre e spesso grottesca del film rende bene il concetto. In un gioco
di specchi, La stranezza è un film pirandelliano sulla genesi di
un’opera di Pirandello, film vivacissimo e intelligente nel suo
incrocio di intimismo e comicità. Questo film che si apre con
l’immagine terribile, nichilista, della morte è costellato di
temi, spunti, allusioni pirandelliane, alle quali porta un suo
contributo anche la suggestione dello spettatore (quei due cavalli
del carro funebre non si chiameranno mica Fofo e Nero?).
Alla
prima romana dei Sei personaggi sono invitati anche i due becchini,
ora ex amici. O no? Li vediamo assistere (perplessi)… ma Pirandello
ha dimenticato, apprendiamo poi, di far mandare gli inviti. E’
giusto, perché, come i sei personaggi in cerca d’autore alla fine
spariscono lasciando in palcoscenico il capocomico (Luigi Lo Cascio)
arrabbiato per un giorno perso, così anche Bastiano e Onofrio,
becchini e teatranti, sono personaggi: che scompaiono alla fine
stendendosi a dormire sui sedili del teatro vuoto. Due personaggi che
hanno trovato un autore.
1 commento:
Il film è fatto bene, le ambientazioni sono molto belle, gli attori sono bravi, ma il film non mi ha comunicato niente. Per me l'arte è comunicazione per cui, dal mio punto di vista, questo film non è un buon film.
Posta un commento