Patrice Leconte
Non
stupisce che sia arrivato a Maigret l’elegante autore del
simenoniano Monsieur Hire (1989), Patrice Leconte, un regista
psicologico con una buona capacità di messa in scena e soprattutto
nella direzione degli attori. Senza fare spoiler, Maigret et la jeune
morte (solo Maigret da noi) innesta con intelligenza su Maigret e la
giovane morta di Simenon, 1954, il concetto base (non il plot) del
più noto Maigret tend un piège (La trappola di Maigret, 1955).
Bisogna
fare attenzione all'apertura. Vediamo in montaggio parallelo l’inizio
della storia di Louise (Clara Antoons), conforme al romanzo, e una
visita medica di Maigret (Gérard Depardieu) che è in cattive
condizioni fisiche; non solo ha perso l'appetito – che per lui è
il colmo – ma il medico gli proibisce di fumare; Leconte ne
approfitta per un paio di piacevoli annotazioni sulla sua nostalgia
della pipa. E’ un Maigret triste, solitario y final. Un Maigret
autunnale, stanco e malinconico, nonostante un suo scherzetto verbale
al suo nemico fisso, il giudice Coméliau, sia gustoso (contiene un
omaggio del film all’origine belga non di Maigret ma del suo
autore). Più che mai corpulento (non una sorpresa con Depardieu),
cammina con fatica, mandando avanti le gambe a stantuffo. Non è
semplicemente la salute: ha momenti di smarrimento esistenziale.
Più
psicologico e sociologico che strettamente atmosferico, a differenza
per esempio dei Maigret di Delannoy con Jean Gabin, il film mette al
centro della vicenda il rapporto di Maigret con due ragazze sbandate,
una morta e una viva, che si assomigliano fino a fondersi
nell'immagine. Questo tema portante si riferisce allusivamente alla
tragedia segreta dei coniugi Maigret nei romanzi, una figlia morta
neonata. Così Maigret, ma anche la signora Maigret, instaurano con
la giovane Betty (Jade Labeste) un rapporto in cui sembrano ritrovare
la figlia perduta; e per Maigret questo rapporto si rivela curativo.
Si
fa notare l’elemento metacinematografico che Patrice Leconte
inserisce nel film, con la lunga sequenza dell’incontro di Maigret
con l’attricetta Jeanine (Francesca Manicone) nel teatro di posa:
la sottolineatura del carattere finto della scenografia, il grande
fondale dipinto che incombe su un ambiente del set, e poi un
riflettore puntato contro la mdp. Quest'elemento metacinematografico
verrà ripreso nel finale, prima in modo simbolico, interno alla
diegesi, col film-nel-film, e poi dichiarato (ma con graziosa
leggerezza) nell’ultima inquadratura.
Per
quanto riguarda il terreno scivoloso della resa del testo, tanto più
importante per un autore assai “visivo” come Simenon, la
sceneggiatura di Patrice Leconte e Jerôme Tonnerre è molto attenta
a mantenere la “maigretudine”; non manca il famoso “Non penso
niente” che è una marca di fabbrica del commissario; un piccolo
sgarbo nel modo in cui un subordinato chiama il giudice Coméliau (il
Maigret dei romanzi l’avrebbe rabbuffato) può essere perdonato;
come direbbero gli sherlockiani, rientriamo bene nel Canone.
Abbiamo
conosciuto tanti Maigret al cinema e in tv. Forse inevitabilmente,
all’aria un po’ stolida e impassibile del grosso commissario essi
hanno spesso sostituito una maggiore mobilità dell’espressione e a
volte del corpo. Fa eccezione il Maigret più amato da Simenon,
Pierre Renoir (ne La nuit du carrefour, 1932, di suo fratello Jean).
Jean Gabin è, appunto, un po’ mobile nel viso e nei gesti,
rispetto all’idea che ci facciamo nei romanzi, ma autorevole,
massiccio, perfetto nella sua forza e solidità. Lo stesso vale per
il nostro Gino Cervi, naturalmente, anche lui un po’ mosso, con
quella sua aura di “bonomia padana” (Roberto Ellero); e bene anche Rupert Davies in una vecchia serie inglese in b/n (mentre Michael
Gambon in un’altra serie inglese è corretto ma sembra più un
ispettore di Scotland Yard). Un eccellente Maigret televisivo è stato
Bruno Crémer: calmo e possente, con occhio attenti e una voce
profonda e tranquilla, il viso che diviene intenso nei momenti
giusti. Ora Gérard Depardieu riprende quell’elemento: è
massiccio, calmo, dal viso rigido e controllato, dove l’emozione si
traduce attraverso gli occhi, con la capacità di passare dalla
depressione dell’inizio a un sorriso che sboccia improvvisamente
mentre si rade e ascolta le voci fuori campo di Betty e di sua
moglie, fino scoppiare più tardi in una risata di complicità. Per
tutto questo Depardieu entra nella lista dei miglior Maigret in
assoluto.
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