Carla Simón
Nel
capolavoro di Čechov Il giardino dei ciliegi si parla con dolore di
un giardino che sta per essere abbattuto soggiacendo alle forze della
speculazione. Alla fine dell’opera risuonano i colpi di scure.
Alcarràs di Carla Simón (vincitore dell’Orso d’Oro al Festival
di Berlino) è un Giardino dei ciliegi contadino e contemporaneo: un
film di fiction, ma che contiene elementi autobiografici della
regista e co-sceneggiatrice (con Arnau Vilaró).
I
coltivatori di Alcarràs, in Catalogna, sono rovinati dalla grande
distribuzione che paga la frutta metà di quel che costa produrla. La
famiglia Solé coltiva a pesche un grande terreno di proprietà dei
Pinyol, in seguito a un accordo verbale tra i vecchi delle due
famiglie, nato da un atto di riconoscenza. Ma non c’è mai stato un
contratto scritto, e ora il giovane erede Pinyol vuole distruggere il
frutteto per gettarsi nel nuovo business dei pannelli solari,
abbattendo gli alberi (interessante contraddizione: l’ambientalismo
contro la natura). Qui la nostra reazione di spettatori è di dolore
e rabbia, per un mondo che il film ci ha insegnato a sentire come la
nostra casa.
Poiché
questo è il tratto centrale di Alcarràs: un’autenticità
stupefacente, un’immediatezza anche sensoriale (il vino, i
pomodori, le pesche, i conigli che corrono fra gli alberi, il misto
di odori della campagna). Esci dal cinema dopo aver visto Alcarràs e
le immagini della realtà che incontri – metti, una mamma con due
bambini, oppure, in terra, una fila di formiche – creano come
un'impressione di continuità, un cortocircuito di appartenenza con
quello che hai visto nel film.
Interpretato
da non professionisti dei villaggi della zona, il film dipinge un
affresco familiare profondamente vero di personalità e relazioni,
nella vita quotidiana e nelle sue lotte generazionali, con i giovani
che si sentono repressi; a partire – attraverso il personaggio
della piccola Iris – dal quadro di un'infanzia felice in mezzo alla
campagna (destinata a perdersi come tutto; la prima cosa a sparire è
l’auto abbandonata dove giocava coi cuginetti, portata via da una
gru come inizio dei lavori). Su tutto questo si abbatte la crisi; in
fondo, possiamo vedere un aspetto metaforico nel frammento di western
che la famiglia guarda alla televisione, con una hacienda attaccata
da banditi incendiari. Questa crisi produce come una radiografia
della famiglia nelle sue diverse reazioni, a partire dall’offerta
di lavorare ai pannelli solari. Intenso, minimale, quasi
documentaristico, Alcarràs ci mostra che c’è qualcosa di
profondamente sbagliato nella strada che, come civiltà, abbiamo
preso.
Nessun commento:
Posta un commento