giovedì 26 novembre 2020

Alive

Cho Il-hyung

Si sa che l'Asia è particolarmente attiva nell'attuale voga internazionale dei rifacimenti locali di un film di successo (nella ventina di remake di Perfetti sconosciuti ce n'è uno indiano, uno coreano, uno vietnamita, uno cinese). Ma resta rimarchevole che un film americano del 2020 goda di una versione coreana lo stesso anno. L'americano è Alone di Johnny Martin (si è potuto vedere online al Trieste Science+Fiction Festival) e il suo rifacimento asiatico, dichiarato fin dalla somiglianza dei titoli, è Alive di Cho Il-hyung (visibile su Netflix). Alla base di entrambi c'è la sceneggiatura del 2019 di Matt Naylor, sceneggiatore del film americano e co-sceneggiatore con Cho del film asiatico.
Raccontando la storia di come un giovane vive, isolato nel suo appartamento, un'esplosione di epidemia che trasforma la gente in zombi e come si lega a una ragazza sopravvissuta nell'appartamento dirimpetto, i due film hanno un'identità di svolgimento che non si limita al plot e agli incidenti principali, come in un comune remake, ma si spinge fino ai particolari minori (dalla morte dei familiari sentita “in diretta” in un messaggio vocale al cellulare allo zombi che si arrampica come uno scalatore verso il balcone della ragazza). Ciò li rende di per sé interessanti quale bizzarro esempio di gemelli cinematografici. Ma è bene aggiungere che si tratta di due buoni film, anche se non trascendentali.
Lo zombie movie dal punto di vista di chi è prigioniero. Questo riesce naturale per il genere, perché la paura degli zombi è la paura della folla. Al contrario del vampiro classico, che viene dall'esterno e s'introduce pian piano dentro la casa, avvelenandola, nel cinema degli zombi la casa è la fortezza, il rifugio contro il mondo esterno. Siamo nel campo della pura agorafobia. Gli zombi agiscono come una malefica entità collettiva; un aspetto ben reso qui nel loro movimento all'unisono quando sentono un rumore e si girano di scatto ruggendo. Pertanto qualsiasi film di zombi è, in tutto o in parte, un racconto di assedio; e questi due film (o doppio film?) portano in primo piano proprio il tema della solitudine e dell'angoscia dell'assediato. Come già scrivevo nella scheda di Alone, alla base di tutto c'è naturalmente il grande romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda.
Per inciso, sarebbe molto interessante (ma forse uscirebbe dalle coordinate del cinema di genere) un film che sviluppasse esclusivamente quest'aspetto dell'assedio per tutta la sua durata. Un horror Kammerspiel! Invece è giocoforza sul piano dello spettacolo che a un certo punto il protagonista dei due film si avventuri fuori, non fosse altro per cercare da mangiare (per inciso, in Alive c'è anche un omaggio alla Nutella).
La differenza principale fra i due film sta negli di zombi messi in scena. In entrambi questi non sono morti viventi ma persone vive colpite da una specie di rabbia (nel film americano sono chiamati screamers). Pur condividendo la stessa natura, quelli di Alone conservano maggiormente le tracce esteriori dell'umanità, e appaiono come uomini e donne impazziti. Quelli di Alive ripropongono la figura ormai classica dello zombie nel cinema coreano, vivo o morto che sia: facce inumane stralunate e insanguinate e ruggiti (come nell'eccellente serie tv Kingdom) e quei movimenti convulsi (specie quando si trasformano) resi popolari da Train to Busan. Spettacolarmente efficaci, senza dubbio; memorabile lo zombi senza occhi che vaga scompostamente per i corridoi. Il prezzo da pagare è la rinuncia a un aspetto originale del film americano, il fatto che gli screamers ripetano ossessivamente le ultime parole che hanno detto o sentito prima di degenerare.
E' un vero piacere comparativo osservare le piccole differenze nei due film. Per esempio lo zombi già menzionato che si arrampica all'appartamento della ragazza; in Alone è . Nel film americano è solo più abile abile degli altri (maggiori competenze motorie conservate nel cervello degenerato) mentre in Alive la sua tuta ci dice che un'attitudine del genere fa parte del suo antico mestiere (salvo errore la protezione civile). Però questa “arrampicata” consente, nel film coreano, una trovata geniale. Mentre lo zombi si arrampica salendo per una corda che la ragazza ha sciaguratamente lasciato pendere, il protagonista cerca di disturbarlo facendogli volare attorno il suo drone – ed ecco un'immagine eccezionale di questo zombi che dà rabbiose manate cercando di colpire il piccolo velivolo: riproduce volutamente un King Kong alla rovescia.
Ancora più importante paragonare la definizione delle due coppie. Nel film americano la ragazza, per quanto intelligente, finisce per assumere il classico ruolo di damsel in distress un po' aggiornato. Il film coreano è più radicale. Il protagonista (Yoo Ah-in) è un simpatico scioccone mentre la ragazza (Parl Shin-hye) non solo ha più cervello ma è l'elemento vincente della coppia, quel tipo di ragazza durissima che discende “per li rami” dall'aggressività di My Sassy Girl. “Chi è in realtà?” borbotta stupefatto il protagonista quando la vede scendere a basso e farsi strada fra gli zombi massacrandoli ferocemente con la determinazione e l'abilità di una supereroina. Non stupisce che, nel rapporto fra i due, abbiano più importanza i tocchi sentimentali nel film americano, quelli di humour nel film coreano. E sarebbe interessante parlare del finale – ma questo non si fa.




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