lunedì 9 ottobre 2017

L'inganno

Sofia Coppola

Guerra civile americana: un soldato nordista ferito viene trovato e ospitato dalle donne di una scuola femminile del vecchio Sud. Reader, beware: nella presente recensione lo spoiler sarà inevitabile; ma in fin dei conti, The Beguiled (L'inganno) di Sofia Coppola riporta sullo schermo la storia del film omonimo di Don Siegel del 1971 uscito in Italia come La notte brava del soldato Jonathan. Infatti nella critica i paragoni fra i due film si sono sprecati (scandalizzerò molte persone, ma a mio avviso il film della Coppola è più bello del bel film di Siegel). E tuttavia questi paragoni sono oziosi: se la storia è la stessa, l'angolazione narrativa tra i due Beguiled (del resto, entrambi tratti dal romanzo di Thomas Cullinan A Painted Devil) è opposta. Come testo di riferimento del presente film non bisogna pensare a quello di Siegel bensì al primo lungometraggio – e vero film-manifesto – della Coppola, Il giardino delle vergini suicide.
L'inganno riporta i consueti temi di Sofia Coppola: lo spaesamento, la risonanza, la sospensione, il periodo di transizione magica e terribile dell'adolescenza, il tutto visto attraverso uno sguardo dreamlike. E' un film di adolescenti inquiete; dove le adulte Nicole Kidman e Kirsten Dunst, senza essere adolescenti, vivono la loro stessa “sospensione” sessuale in un mondo senza uomini, per via della guerra che li allontana: risalta il peso dell'appellativo Miss (né è casuale la presenza di Kirsten Dunst, anche al di là di essere l'attrice-feticcio della Coppola). Le donne del film sono tutte delle “vergini suicide”, bloccate in uno spazio chiuso opprimente (“Non abbiamo un altro posto dove andare”): ovvero in uno di quei “giardini chiusi”, la costrizione ambientale, che Sofia Coppola ha sempre messo in scena con stupefacente maestria: recinti chiusi e limitanti anche quando si chiamano Reggia di Versailles. L'Istituto Farnsworth del film è opprimente tanto per la sua natura – il peso dell'educazione formale, le costrizioni dell'essere una gentildonna del Sud – quanto per la situazione concreta – la minaccia della guerra appena fuori del perimetro della guerra, che viene ricordata dalle cannonate lontane e le colonne di fumo nero oltre gli alberi, l'emergenza nel portare avanti la quotidianità (“Gli schiavi sono fuggiti”), la minaccia concreta delle possibili irruzioni (dei nordisti specialmente ma da ambo le parti: vedi l'episodio dei due cavalleggeri), la paura per il futuro: i propri cari in guerra e la sconfitta che si profila.
Sofia Coppola gioca sempre a carte scoperte. Se il romanzo di Cullinan è un classico esempio di Southern Gothic, L'inganno si apre già enunciando le marche visuali del Southern Gothic (il vecchio palazzo di stile sudista “palladiano”, lo spanish moss pendente dagli alberi), però di esso la Coppola elide gli archetipi presenti in Siegel (il rapporto venato di colpevolezza tra bianchi e negri, gli abissi familiari che arrivano fino all'incesto), mentre lo declina fin dall'apertura in termini di fiaba nera: la voce della ragazzina che canticchia sul buio, la nebbia irreale e fantastica, le lame di luce tra gli alberi enormi, l'incanto pericoloso della foresta, la raccolta dei funghi. Ovviamente quest'ultimo elemento allude ominously al finale; però le fiabe pongono un'opposizione radicale fra il mondo interno della casa e quello esterno della foresta: la foresta è un posto altro, dove si va a raccogliere i supporti per la vita – la legna, il cibo – ma che rappresenta lo spazio dell'alieno e del pericolo: è il regno della strega e nel lupo. Nella foresta, raccogliendo funghi, la piccola Amy trova il soldato nordista ferito John McBurney (Colin Farrell) e lo porta alla villa. Molto importante qui un'inquadratura attraverso il cancello chiuso: è l'entrata in un mondo a sé, e John McBurney è passato dall'uno all'altro, intruso e catalizzatore.
Perché la presenza del soldato fa da catalizzatore della sessualità (la differenza di età fra queste donne, adolescenti e bambine consente al racconto di esplorarla in tutte le sfumature); ne troviamo la prima enunciazione quando tutte le ragazze si agghindano, quasi senza pensarci; la direttrice Martha (Nicole Kidman) commenta: “La presenza del soldato sta avendo degli effetti”. Questo fa esplodere un'ostilità sotterranea fra le donne, e in particolare fra le più adulte, Martha, Edwina (Kirsten Dunst) e la ribelle Alicia (Elle Fanning); ma questo specie di gara al riconoscimento coinvolge anche le più piccole (delizioso il dialogo sulla torta di mele). La presenza del soldato fa esplodere la cappa di finta calma quotidiana che comprimeva le pulsioni, innestando i desideri di queste donne sessualmente represse: di nuovo, sia per la condizione culturale, sia per la situazione di emergenza: la mancanza dell'altro sesso nell'interazione sociale. I personaggi della Coppola sognano sempre un altrove, un somewhere, irraggiungibile.
Evidenza fisica della ferita medicata e della sutura con ago e filo (com'è importante il cucire nel film! Cucito come arte appresa dalle signorine, cucito come necessità quotidiana, ma si cuciono anche le ferite, e alla fine si cucirà un sudario). Ma anche evidenza fisica, sessuale, desiderante, del corpo maschile: il dettaglio strettissimo del torace del soldato quando Martha lo lava con spugnature; ed è indicativo che alla fine lei si sciacqui la faccia sudata.
Si scatena dunque una guerra femminile nascosta sotto il peso dell'educazione convenzionale e dell'interdizione linguistica, tutta basata sul non detto (ovvero, nel mondo chiuso del film, il non dicibile). Passa nel film un sottofondo di ostilità sottaciuta e di minaccia (pensiamo alla scena in cui John, improvvisatisi giardiniere, affila l'ascia per abbattere un albero: poiché nel clima di tensione repressa del film qualsiasi possibile richiamo alla violenza ci suona come un campanello d'allarme).
Qui viene mantenuta integralmente l'ambiguità di fondo del soldato, che è seduttivo nei confronti di tutte (benché con meno evidenza che nel film di Siegel). E' un opportunista manipolatore? E' un mediocre, vittima della propria debolezza? O entrambi? C'è una scena, la bellissima fotografia di Philippe Le Sourd, in cui John e Edwina parlano di profilo faccia a faccia, ma lei è del tutto a fuoco mentre lui è leggermente sfumato , come a rendere visivamente l'ambiguità. Di certo, tanto quella delle donne di fronte alla presenza dell'uomo quanto quella dell'uomo in questo gineceo realizzano quella situazione di stupefazione che ama ritrarre la Coppola, i cui personaggi sono sempre in qualche modo lost in translation.
Qui sarà opportuno riflettere sulla discrasia temporale che si avverte nel film. I tempi fisici della guarigione di John (prima dalla ferita alla gamba, poi addirittura dall'amputazione) non sono coerenti con la facilità con cui si muove nello svolgimento. Questa, che era già vagamente presente nel film di Siegel ma qui è dilatata all'estremo, non è una leggerezza di sceneggiatura: volutamente nel film il passaggio del tempo ha dell'irreale: sembrano pochissimi giorni ma evidentemente non lo sono – o in altre parole l'evoluzione psicologica concentrata è espressa sopra un lasso di tempo fisico che in realtà dev'essere più lungo. Ma non è, questa discrasia di tempo, una caratteristica propria della fiaba (i “luoghi incantati”)?
La conclusione è una sorta di sacrificio umano. Non interessa però a Sofia Coppola il tema della castrazione (simboleggiata nell'amputazione della gamba) presente nel film “maschile” di Siegel – come non le interessa il tema sociale/razziale. In Siegel la necessità o meno dell'amputazione della gamba (necessità o vendetta di Martha?) è lasciata ambigua a livello narrativo ma è suggerita come vendetta a livello di linguaggio cinematografico (i cupi primissimi piani di Geraldine Page). Ne L'inganno, di quest'ambiguità resta solo il sospetto. Quel che interessa alla Coppola, e lo ha ampiamente dichiarato, è dipingere l'irruzione dal punto di vista del gruppo di donne che lo vive.
Indimenticabile l'inquadratura dopo l'assassinio per avvelenamento da funghi: grande inquadratura d'insieme dal punto a capotavola dov'è seduto John con la tavolata in posizione centrale prospettica, le due file di ragazze che lo guardano e al capotavola opposto Martha che lo fissa con un'aria diabolica.
Dopo che il corpo è stato deposto immediatamente fuori del cancello della villa (mentre alla fine del film di Siegel il gruppo di donne col cadavere si allontanava nella pianura), un indimenticabile movimento di macchina in avvicinamento ottico supera il corpo nel sudario e prosegue fino al cancello – oltre il cancello c'è il gruppo delle donne che guardano immobili. L'Istituto Farnsworth, questo gineceo sospeso nell'irrealtà del tempo e della situazione, ha accolto l'elemento estraneo e lo ha risputato.

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