I
film di zombi sono la variante moderna del Giudizio Universale. Lo è,
a rigore, qualsiasi disaster movie;
ma più i film di zombi, perché queste creature ex-viventi
mantengono un'apparenza residua di umanità che le rende demoniache,
a differenza della meccanicità degli agenti naturali, e perché
portano con sé un concetto di contagio che si estende naturalmente a
tutto il mondo, mentre le catastrofi sono localizzate (a meno di non
mettere in scena la distruzione totale della Terra, come Emmerich in
2012). Ed è un film
di zombi davvero notevole il coreano Train to Busan
di Yeon Sang-ho. Purtroppo non si potrà vedere sugli schermi
italiani, ma la Tucker Film ne distribuisce il dvd (Midnight
Factory). Molto opportunamente questo dvd comprende il lungometraggio
cartoon dello stesso autore Seoul Station.
Per
sua natura Train to Busan si pone agli antipodi di Dawn
of the Dead (Zombi) di George A. Romero. Se quello era un
esercizio di claustrofobia, un film centripeto dove l'invasione dei
morti viventi si concentrava verso i protagonisti asserragliati in un
centro commerciale, in Train to Busan la scena è mobile e lo
“spettacolo del disastro” si rivela in senso spaziale agli occhi
dei protagonisti e ai nostri. Perché assistiamo a una doppia
invasione dei morti: nel macrocosmo delle città coreane e nel
microcosmo del treno in corsa. Dopo
il vecchio Horror Express
(Pánico en el Transiberiano)
di Eugenio Martin (Spagna
1972), non ricordo un horror altrettanto bello ambientato su un
treno.
Il
film è molto abile nel delineare con tocchi precisi come la
percezione del disastro emerga a poco a poco ai passeggeri.
All'inizio si vede di lontano un caos indistinto sulle scale mobili
della stazione; poco prima per strada l'apparizione improvvisa di una
fila di auto di ambulanze, pompieri e polizia aveva innestato un
sentimento d'allarme. C'è nel film una corrispondenza logica e ben
articolata tra la rivelazione progressiva attraverso la tv sul treno
e i cellulari, quella attraverso la realtà dei luoghi e il rivelarsi
del disastro sul treno stesso – perché una ragazza salita “malata”
sul treno diventa zombie e morde una hostess, innestando il contagio
che in questo film è immediato. Gli zombi si muovono come se
avessero il corpo dolorosamente snodato, ruggendo, e sono
velocissimi. Il classico e necessario handicap, che nei film di zombi
classici (o per essere più precisi, romeriani) era la lentezza, qui
è la vista: “Ci aggrediscono perché ci vedono” (ma non sanno
per fortuna aprire le porte fra uno scompartimento e l'altro); basta
fare uno sbarramento visivo di fogli di giornale sui finestrini, e
non fare rumore, per nascondersi – ciò che innesta la consueta
dialettica dei film di zombi tra potenza e fragilità. Yeon ha una
capacità molto convincente di messa in scena. L'inizio del film è
assolutamente da antologia: sulla strada un camioncino investe e
uccide un cerbiatto, il guidatore riparte imprecando, e l'animale si
alza, con un primissimo piano del muso divenuto contorto e feroce: un
Bambi-zombie!
Qualsiasi
film sull'irruzione progressiva del nemico è, si capisce, un film
sulla società e su come risponde alla minaccia. Cosa interessante,
nei film di invasioni extraterrestri la società reagisce e vince,
nonostante la sproporzione delle forze, mentre nei film di morti
viventi va in pezzi. Ma anche al di là di questa regola generale, il
dittico degli zombi di Yeon mette in scena uno spaccato
iper-pessimistico della società coreana che si può utilmente
rapportare ai vari film sulla corruzione politico/giudiziaria usciti
nel paese negli ultimi anni, da Inside Men di Woo
Min-ho a The Unfair di
Kim Sung-je, da The King
di Han Jae-rim a The Mayor
di Park In-je.
Il
protagonista è un financial manager che pensa solo agli
affari, divorziato; parte sul treno per Busan la mattina assieme alla
figlia piccola, che gli vuole bene ma è delusa di lui. In una pagina
memorabile, man mano che sta esplodendo il disastro, riescono a
mettersi in contatto al cellulare con la nonna, che diventa zombi “in
diretta” vocale. Il film ha una crudeltà molto coreana nel
descrivere non solo il terrore e lo shock ma anche la disperazione
affettiva della bambina (e la piccola attrice è eccezionale).
Come
tutte le situazioni simili, il film è una rassegna di caratteri –
fra i quali vorrei esprimere una preferenza per due memorabili
vecchiette. Ha un ruolo più importante un ciccione duro e
umanissimo, l'uomo della strada contrapposto al manager borghese.
Divertente e ben pensato l'episodietto quando, sentendo del lavoro
del padre della piccola, dice senza pensarci “E' una sanguisuga”
e poi è imbarazzato davanti alla bambina; al che lei: “E' okay –
tanto lo pensano tutti”. Un bel dialogo realistico e veloce assolve
una certa tendenza allo stereotipo nella caratterizzazione dei
personaggi. Emerge come villain del film un dirigente delle
ferrovie in viaggio sul treno, che fomenta il conformismo impaurito
degli altri passeggeri e del personale (è questo del conformismo,
più che gli scherzi sul mestiere del protagonista, il vero senso
politico del film).
Raramente
nel cinema di zombi abbiamo viste scene del disastro così
atmosferiche e ben realizzate (l'arrivo alla stazione apparentemente
vuota, con tracce di sangue e con uno scudo della polizia
insanguinato abbandonato in terra, è memorabile). Da notare, in uno
scontro, il libro ficcato in bocca a uno zombi: rielaborazione
drammatica della gag comica di Polanski col vampiro in Per favore
non mordermi sul collo. C'è nel film un autentico senso della
suspense, che emerge nella conclusione in modo addirittura doloroso.
Seoul
Station è invece un ottimo cartone animato, che in pratica
tratteggia il prequel di Train to Busan (al
quale è superiore), con un bel montaggio e una narrazione
sostenuta e logica. Se il disegno dei visi mantiene un realismo oggi
molto diffuso ma artisticamente poco impressivo, il disegno degli
edifici e della città è eccellente, anche con elementi
fotografici inseriti ed elaborati nel disegno degli ambienti.
Alternandosi
fra due storie convergenti, racconta del diffondersi dell'epidemia in
un'interminabile notte a Seoul a partire dall'ambiente più povero,
gli homeless che si
radunano intorno alla stazione. Il film descrive con forza e
partecipazione il mondo dei miserabili (gli ambienti infimi, la
vita in strada dei senza casa, un pronto soccorso che non ce la fa
più). Seoul Station è
più politico di Train to Busan,
dove l'elemento di satira
sociale era presente ma laterale; qui occupa di prepotenza il centro.
“Questo paese se ne strafrega di noi”, dice un homeless.
“Sembra che i comunisti siano
dietro a tutto questo”, dice la polizia; e di fronte a un gruppo di
cittadini che hanno messo su una barricata e si difendono dagli zombi
colpendoli con mazze, li tratta come una manifestazione non
autorizzata, ordina di sciogliersi e suggerisce di andare a casa a
guardare le notizie in tv.
Dopo
la lunga notte dei morti viventi, il film si conclude su Seoul nella
luce del mattino, in campo lunghissimo, con il fumo degli incendi. Se
Train to Busan si
chiudeva su una nota di tenue speranza, in Seoul Station
il Giudizio Universale è completo.
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