Un
viaggio, si sa, mentre è un percorso all'esterno, da A a B sulla
carta geografica, contemporaneamente è un percorso interno, è un
viaggio dentro di noi.
Di
questo parla Easy, scritto e
diretto da Andrea Magnani, una coproduzione italo-ucraina
distribuita dalla Tucker Film, valorosa casa di distribuzione
friulana attenta – oltre che alla produzione locale e al cinema
asiatico (sull'onda del Far East Film Festival) – al cinema
dell'Est europeo.
Easy
sarebbe il protagonista Isidoro (il bravo Nicola Nocella); ma easy
è anche il compito che deve assolvere su incarico del fratello
maneggione. Infatti il film reca sui manifesti, ma non sulla copia,
il sottotitolo “Un viaggio facile facile”. Si tratta di riportare
in Ucraina, passando per l'Ungheria, la bara di Taras, un muratore
immigrato morto in un incidente per le cattive condizioni di
sicurezza, per cui meno se ne sa meglio è. Easy è un uomo chiuso in
se stesso: un ciccione depresso cronico, imbottito di tranquillanti,
quasi catatonico; ma in gioventù è stato campioncino di go-kart e
poi campione automobilistico, così in teoria sarebbe la persona
adatta per quel lungo viaggio. La sua backstory viene
rivelata a poco a poco. La sua carriera è finita quando si è addormentato in pista a pochi metri
dal traguardo (per colpa dei tranquillanti di cui si faceva) – e
nota che è la stessa cosa che vediamo capitargli durante il viaggio
quando fa un giro per gioco con il muletto su una pista abbandonata.
E' un tratto intelligente del film che quest'ultimo piccolo episodio
si veda prima che noi sentiamo raccontare dell'episodio che ha
terminato la sua carriera: in tal modo, esso è deprivato di un
simbolismo altrimenti troppo evidente.
Se
c'è un oggetto che può riassumere il personaggio di Easy è quel
divano-finta-automobile che vediamo all'inizio del film. Da un lato, a livello diegetico, è finzione bizzarra, è il ricordo di
un'auto, un simulacro che riprende (e per lo spettatore parodizza) i
sogni infranti di Easy come campione automobilistico. Dall'altro, a
livello simbolico, quella finta auto imprigiona Easy che ci si siede
dentro a fare videogiochi di corse, rappresenta una gabbia psichica,
dalla quale la peripezia del film lo farà uscire. Molto giustamente,
mentre l'inizio insiste sui suoi primissimi piani di sguardi in
macchina con aria scema – il che se fosse proseguito rischiava di
divenire un tratto filmico troppo persistente – questo modo di
inquadrarlo è mantenuto solo nell'apertura (che peraltro è la parte
meno convincente del film).
Naturalmente
in questo delirante viaggio-con-bara tutto va storto; nel suo vortice
di sfiga, il film diventa una specie di catalogo dei Terrori del
Viaggiatore Inesperto. Assai divertente, certo, e pieno di gag
indovinate; ma al di là dell'aspetto comico, il viaggio di Easy
assume un aspetto di sospensione stupefatta e fantastica.
Epopea dello smarrimento in terra straniera, Easy è un grande
film di visi. Indimenticabile il vecchio sul carro, indimenticabile
l'anziana che serve ai due la zuppa, ma in generale c'è un “gusto
fisionomico” che in qualche modo è tipico del mondo contadino
est-europeo. Una menzione particolare deve andare alla fotografia di
Dmitryi Nedria, che restituisce ottimamente le fisionomie, le
atmosfere (queste fredde albe umide, queste notti impaurite), i
panorami vuoti e i desolati paesaggi post-industriali. Easy è un
esercizio di déplacement se mai ne abbiamo visto uno.
Un
po' per senso del dovere, e molto per la forza propulsiva della
sfiga, il protagonista si identifica totalmente con il suo compito; e
le tragicomiche peripezie (a un certo punto la bara finisce anche a
galleggiare su un fiume con Easy sopra come in barca) gli offrono
l'opportunità di farlo uscire dal guscio. Il fatto che il compito
sia di portare alla sepoltura una bara è indicativo, perché il
risultato è che senz'accorgersene Easy va a seppellire il suo sé di
uomo-bambino, agito e non agente, fin dall'alimentazione che gli
impone la madre per farlo dimagrire: la mela e le barrette dategli
dalla madre, che lui butta via appena partito comprandosi una
vagonata di junk food; è una ribellione infantile, di pura
golosità – ma è pur sempre l'inizio di una ribellione.
Beninteso,
non è che diventi James Bond. Resta quel ciccione perplesso, quello
sfigato a cui le cose succedono, e non le fa succedere. E tuttavia è
indubitabile che l'Easy del finale sia tutt'altra persona rispetto
all'uomo-bambino dell'inizio. Perché a tutti può capitare, nelle
disgrazie della vita, di avvoltolarsi in se stessi, rinchiudersi in un
bozzolo psichico da cui solo una forza esterna, uno shock, può farli
uscire... un po' è la fossa dei serpenti di pre-psichiatrica
memoria.
Il
film non pone un'esplicita identificazione del protagonista con il
morto Taras; ma notiamo che alla fine si crea un'autentica
sostituzione. Dove c'era Taras ci sarà Easy? E' decisivo (e
confermato da una dichiarazione del regista) che lo vediamo alla fine
con un bambino, figlio di Taras, in braccio al posto esatto del vecchio
trofeo delle corse che si portava ossessivamente dietro.
Per questo non penso che quello di Easy sia un finale aperto, come qualcuno ha detto. Anzi è chiuso, chiusissimo – semmai il punto è se Easy se ne renda conto. Ma poiché nel corso del film siamo giunti a sviluppare un'identificazione partecipe con questo ciccione smarrito, speriamo di sì.
Per questo non penso che quello di Easy sia un finale aperto, come qualcuno ha detto. Anzi è chiuso, chiusissimo – semmai il punto è se Easy se ne renda conto. Ma poiché nel corso del film siamo giunti a sviluppare un'identificazione partecipe con questo ciccione smarrito, speriamo di sì.
1 commento:
che sia un grande film di visi è certo e altrettanto certo è il livello eccelso della fotografia di Dmitryi Nedria. Tutto il resto è puro esercizio di stile e anche stiracchiato.....
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