Indimenticabile
serata teatrale al Palamostre di Udine, dove il CSS per Teatro
Contatto ha presentato E se elas fossem para Moscou? di
Christiane Jatahy. Le tre eccezionali interpreti sono Isabel Teixeira
(Olga), Stella Rabello (Maria) e Julia Bernat (Irina).
Recitato in portoghese brasiliano con intromissioni di inglese e francese, è
una riscrittura moderna de Le tre sorelle di Čechov divisa in
due sezioni, che si vedono una dopo l'altra in modo interscambiabile
in due spazi diversi e separati: una è “teatrale”, ma ripresa
nel contempo da videocamere presenti e mobili sul palco, una
è “cinematografica”, che presenta in diretta il film realizzato. Il
pubblico è diviso in due gruppi che dopo l'intervallo si scambiano
di posto. Chi ha visto la messa in scena teatrale assiste poi al film –
è stato il mio caso – e viceversa.
Di
conseguenza nella sezione “teatrale” il testo viene messo in
scena sul palcoscenico, con numerosi interstizi dell'azione riempiti
da rapporto “laterale” fra i personaggi, moltiplicazione dei
punti focali, coinvolgimento del pubblico: una materia magmatica –
entro la quale rimangono fissi, e potenti, lo spirito e in parte la
lettera cechoviani.
Ed
ecco il film, e con esso
quell'elemento che ho
chiamato magmatico viene
ridotto a unità: perché filmare significa inquadrare, e inquadrare
significa scegliere. Allora la pluralità visiva che abbiamo visto
sul palcoscenico viene inevitabilmente indirizzata e definita da una
presenza di regia. Reductio ad unum.
Il dramma che emerge da quest'unità era inscritto nella parte di
spettacolo precedente, riconoscibilissimo anche allora (sarebbe un
errore capitale leggere le due parti di spettacolo in termini di
incompletezza/completezza: sono complete entrambe), ma qui reso
assoluto dall'elemento cinematografico della scelta, della
definizione dello sguardo. Si capisce che gli spettatori che hanno
fatto il percorso inverso vivono la stessa esperienza, ma al
contrario.
Però
tutto questo sarebbe solo tecnica, fuoco d'artificio, se non ci fosse
sotto una profondità artistica, di cui l'eccellenza tecnica non è
che lo strumento. Dietro a questa genialità di uso dei mezzi
espressivi c'è Čechov
e c'è l'oggi: c'è Čechov
oggi. Per questo il suo
teatro di suggestioni e di nuances,
di sogni e di amare realtà,
intessuto di malinconia e
insieme di
umorismo (il dottor Čechov
com'è noto si lamentava
spiritosamente della messa in scena “tetra” adottata
per le sue opere) in questa
riscrittura emerge
prepotentemente come attuale.
Le parole non bastano a descrivere la vitalità
e la carica di viva realtà umana che stanno dietro a questo
spettacolo – dove il tema del cambiamento esistenziale sognato e
fallito, scandito da immersioni/rinascite (sognate e desiderate)
nella vasca d'acqua che “sta per” la piscina, assume una verità
straziante e soprattutto vera per oggi e per ieri. Čechov
nostro contemporaneo.
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