Ci
vorrebbe un poeta, e una recensione in versi, come quelli che
sentiamo nel film, per rendere la bellezza, la giustezza e la
risonanza di Paterson di Jim Jarmusch, questa elegia
che dal quotidiano si solleva all'assoluto – proprio come le poesie
che sentiamo nel film (l'ho già detto?).
Racconta
di un autista di autobus (Adam Driver) che a tempo perso scrive
poesie su un quaderno segreto: non per pubblicarle o farle leggere in
giro (è molto determinato su questo) ma per sé e per sua moglie
Laura (Golshifteh Farahani). Questo autista si chiama Paterson,
proprio come la sua città, Paterson, New Jersey. E il film non manca
di richiamare tutta la mitologia di Paterson; William Carlos
Williams, naturalmente, autore di Paterson, poeta della città
per eccellenza, ma anche Allen Ginsberg, Lou Costello (cioè
Pinotto), Iggy Pop, l'anarchico Gaetano Bresci e altri.
Jarmusch
è sempre stato legato alla cultura giapponese, dichiarata in Ghost
Dog ma presente in tutto il suo cinema (e alla fine di Paterson
compare un poeta giapponese come deus ex machina). Ora, la
forma principale e più nota della poesia giapponese è lo haiku, che
nella sua estrema concisione (5-7-5 sillabe) mantiene un legame
assoluto con la concretezza. Le poesie di Ron Padgett qui attribuite
al protagonista sono naturalmente più lunghe – ma hanno in comune
coll'haiku la stessa fulminante concretezza che parte dalle piccole
cose: come la meravigliosa poesia iniziale su una scatola di
fiammiferi, da cui si sviluppa un canto d'amore, di una precisione
descrittiva assoluta (“il suo stelo di 3 cm. e mezzo in legno di
pino”). C'è qui un'analogia col cinema di Jim Jarmusch: perché la
dimensione particolare di Jarmusch è proprio quella dell'esattezza.
E'
ricorrente la presenza in Jarmusch di un testo altro con
valore profetico: la musica naturalmente, la poesia (il protagonista
di Dead Man non per nulla si chiama William Blake), lo
Hagakure in Ghost Dog… Ma qui la poesia viene
identificato con la figura stessa del protagonista. Paterson scrive
di getto con calligrafia netta senza correggere: le poesie gli
fluiscono come l'acqua, ad esse connessa nell'immagine con
sovrimpressioni e dissolvenze incrociate, ma presente in tutto il
film (il fiume, il ponte, il parco sulle Great Falls) come elemento
guida. “Parole scritte sull'acqua”, così Paterson parla delle
sue poesie.
Jim
Jarmusch ha detto che i suoi film sono fatti con le parti che altri
registi taglierebbero via. Vale persino coi suoi vampiri (Solo gli
amanti sopravvivono). “Jarmusch racconta a freddo, senza
psicologia, ma rintracciando i caratteri, i comportamenti, senza
interventi drammatici”, scriveva Edoardo Bruno nel 1984. Però in
Paterson questo fluire della vita non ha la
componente di tristezza di altre opere jarmuschiane. E' un film quasi
zen sulla bellezza nelle cose. Servito da attori meravigliosi,
attraversato da un umorismo gentile, delinea una serie di figure e
fatti quotidiani, piccoli accadimenti (o non piccoli, al bar del
vecchio Doc ce n'è uno tragicomico); al suo centro ha
l'indimenticabile trio formato da Paterson, Laura e il bulldog Marvin
(interpretato, e chi ha visto il film converrà che è la parola
giusta, dalla femmina Nellie, morta due settimane dopo le riprese; il
film è dedicato alla sua memoria). “Scene da un matrimonio” ma
senza dolore. Anche se una réclame sulla fiancata dell'autobus dice
“Divorce $ 299”, non tutti i matrimoni finiscono male.
Il
film è scandito in giornate, aperte ciascuna dal risveglio alle sei
e mezza. Paterson si sveglia (una di queste mattine Laura è nuda:
evidentemente prima di addormentarsi hanno fatto l'amore). Va al
lavoro, dove si sorbisce le eterne lamentele dell'amico sfortunato
Donnie. Guida il bus (i discorsi dei passeggeri orecchiati dal
protagonista sono così belli che si vorrebbe citarli tutti); un
giorno poi succede che l'autobus ha un guasto. Ascolta
affettuosamente i sogni di Laura, che forse sono un po' troppi per il
suo bene: pittrice, stilista (con una passione per il bianco e nero),
produttrice di pasticcini (idem), futura cantante country. Porta a
spasso Marvin la sera; delizioso nell'incontro con il rapper nella
lavanderia a gettone lo sguardo del cane fra interessato e
perplesso. Beve ogni sera una birra al bar di Doc, dove si consuma
sotto i suoi occhi un amore infelice. Va con Laura al cinema (vedono
il classico Island of Lost Souls del 1932, un richiamo
all'amore di Jarmusch per i vecchi horror). Incontra una poetessa in
erba di 10 anni. L'elemento di minaccia presente nella vita come dato
di fatto fa capolino solo una sera con l'incontro con quatto tipi
strambi in auto, che non spaventano lui ma noi sì – però non
succede niente. Beh, anche nell'episodio al bar sopra accennato, che
però si risolve in risate; e serve anche a dirci che il quieto
Paterson è un uomo di coraggio (fra le foto in casa ce n'è una si
lui in alta uniforme dei marines). La sua compostezza diventa
tristezza quando il cane gli distrugge il quaderno delle poesie, che
lui ostinatamente non ha voluto fotocopiare; ma anche questo troverà
una soluzione.
Paterson
si basa sull'estetica musicale della ripetizione variata. Questo
amore della ripetizione si incarna nell'invenzione stupefacente dei
gemelli: dopo che Laura racconta al marito di aver fatto un sogno in
cui aveva due gemelli, Paterson non fa altro che incontrarne: prima
due fratelli gemelli negri che a biliardo al bar, poi tutta una serie di
gemelli vestiti identici di tutte le età (grandi le due vecchiette
in abito color prugna nella scena del guasto al bus). Anche la
poetessa di 10 anni ha una sorella gemella, racconta. “Potreste
essere gemelle” è il complimento che Paterson fa a Laura parlando
di un'attrice.
Ma
questo è a livello visuale o di dialogo. La grande immagine dei
gemelli, del raddoppiamento, attraversa tutto il film a un livello
più esteso – a partire ovviamente da Paterson/persona e
Paterson/città (peraltro il protagonista non è una sorte di
raddoppiamento di William Carlos Williams?). La bambina che Paterson
incontra scrive poesie su un quaderno segreto, come lui. Laura dice a
Paterson di aver trovato su Internet che Petrarca amava anche lui una
Laura, e che una delle sue opere fu il “Libro segreto” (vero: il
Secretum). Il cane Marvin è replicato in un quadro dipinto da
Laura nel suo periodo pittrice. E soprattutto, il quaderno distrutto
dal cane si raddoppia in un nuovo quaderno regalato a Paterson dal
poeta giapponese (“A volte una pagina vuota presenta molte
possibilità”). Paterson ricomincia a scrivere.
Così
Paterson, film
sulla poesia che diventa una poesia,
diventa un meraviglioso gioco
di specchi, una galleria di immagini doppie, un quieto vortice di
rimandi. Dal quale usciamo
colpiti ma non travolti, trapassati ma non feriti:
pacificati.
Nessun commento:
Posta un commento