martedì 3 gennaio 2017

Paterson

Jim Jarmusch

Ci vorrebbe un poeta, e una recensione in versi, come quelli che sentiamo nel film, per rendere la bellezza, la giustezza e la risonanza di Paterson di Jim Jarmusch, questa elegia che dal quotidiano si solleva all'assoluto – proprio come le poesie che sentiamo nel film (l'ho già detto?).
Racconta di un autista di autobus (Adam Driver) che a tempo perso scrive poesie su un quaderno segreto: non per pubblicarle o farle leggere in giro (è molto determinato su questo) ma per sé e per sua moglie Laura (Golshifteh Farahani). Questo autista si chiama Paterson, proprio come la sua città, Paterson, New Jersey. E il film non manca di richiamare tutta la mitologia di Paterson; William Carlos Williams, naturalmente, autore di Paterson, poeta della città per eccellenza, ma anche Allen Ginsberg, Lou Costello (cioè Pinotto), Iggy Pop, l'anarchico Gaetano Bresci e altri.

Jarmusch è sempre stato legato alla cultura giapponese, dichiarata in Ghost Dog ma presente in tutto il suo cinema (e alla fine di Paterson compare un poeta giapponese come deus ex machina). Ora, la forma principale e più nota della poesia giapponese è lo haiku, che nella sua estrema concisione (5-7-5 sillabe) mantiene un legame assoluto con la concretezza. Le poesie di Ron Padgett qui attribuite al protagonista sono naturalmente più lunghe – ma hanno in comune coll'haiku la stessa fulminante concretezza che parte dalle piccole cose: come la meravigliosa poesia iniziale su una scatola di fiammiferi, da cui si sviluppa un canto d'amore, di una precisione descrittiva assoluta (“il suo stelo di 3 cm. e mezzo in legno di pino”). C'è qui un'analogia col cinema di Jim Jarmusch: perché la dimensione particolare di Jarmusch è proprio quella dell'esattezza.
E' ricorrente la presenza in Jarmusch di un testo altro con valore profetico: la musica naturalmente, la poesia (il protagonista di Dead Man non per nulla si chiama William Blake), lo Hagakure in Ghost Dog… Ma qui la poesia viene identificato con la figura stessa del protagonista. Paterson scrive di getto con calligrafia netta senza correggere: le poesie gli fluiscono come l'acqua, ad esse connessa nell'immagine con sovrimpressioni e dissolvenze incrociate, ma presente in tutto il film (il fiume, il ponte, il parco sulle Great Falls) come elemento guida. “Parole scritte sull'acqua”, così Paterson parla delle sue poesie.

Jim Jarmusch ha detto che i suoi film sono fatti con le parti che altri registi taglierebbero via. Vale persino coi suoi vampiri (Solo gli amanti sopravvivono). “Jarmusch racconta a freddo, senza psicologia, ma rintracciando i caratteri, i comportamenti, senza interventi drammatici”, scriveva Edoardo Bruno nel 1984. Però in Paterson questo fluire della vita non ha la componente di tristezza di altre opere jarmuschiane. E' un film quasi zen sulla bellezza nelle cose. Servito da attori meravigliosi, attraversato da un umorismo gentile, delinea una serie di figure e fatti quotidiani, piccoli accadimenti (o non piccoli, al bar del vecchio Doc ce n'è uno tragicomico); al suo centro ha l'indimenticabile trio formato da Paterson, Laura e il bulldog Marvin (interpretato, e chi ha visto il film converrà che è la parola giusta, dalla femmina Nellie, morta due settimane dopo le riprese; il film è dedicato alla sua memoria). “Scene da un matrimonio” ma senza dolore. Anche se una réclame sulla fiancata dell'autobus dice “Divorce $ 299”, non tutti i matrimoni finiscono male.
Il film è scandito in giornate, aperte ciascuna dal risveglio alle sei e mezza. Paterson si sveglia (una di queste mattine Laura è nuda: evidentemente prima di addormentarsi hanno fatto l'amore). Va al lavoro, dove si sorbisce le eterne lamentele dell'amico sfortunato Donnie. Guida il bus (i discorsi dei passeggeri orecchiati dal protagonista sono così belli che si vorrebbe citarli tutti); un giorno poi succede che l'autobus ha un guasto. Ascolta affettuosamente i sogni di Laura, che forse sono un po' troppi per il suo bene: pittrice, stilista (con una passione per il bianco e nero), produttrice di pasticcini (idem), futura cantante country. Porta a spasso Marvin la sera; delizioso nell'incontro con il rapper nella lavanderia a gettone lo sguardo del cane fra interessato e perplesso. Beve ogni sera una birra al bar di Doc, dove si consuma sotto i suoi occhi un amore infelice. Va con Laura al cinema (vedono il classico Island of Lost Souls del 1932, un richiamo all'amore di Jarmusch per i vecchi horror). Incontra una poetessa in erba di 10 anni. L'elemento di minaccia presente nella vita come dato di fatto fa capolino solo una sera con l'incontro con quatto tipi strambi in auto, che non spaventano lui ma noi sì – però non succede niente. Beh, anche nell'episodio al bar sopra accennato, che però si risolve in risate; e serve anche a dirci che il quieto Paterson è un uomo di coraggio (fra le foto in casa ce n'è una si lui in alta uniforme dei marines). La sua compostezza diventa tristezza quando il cane gli distrugge il quaderno delle poesie, che lui ostinatamente non ha voluto fotocopiare; ma anche questo troverà una soluzione.

Paterson si basa sull'estetica musicale della ripetizione variata. Questo amore della ripetizione si incarna nell'invenzione stupefacente dei gemelli: dopo che Laura racconta al marito di aver fatto un sogno in cui aveva due gemelli, Paterson non fa altro che incontrarne: prima due fratelli gemelli negri che a biliardo al bar, poi tutta una serie di gemelli vestiti identici di tutte le età (grandi le due vecchiette in abito color prugna nella scena del guasto al bus). Anche la poetessa di 10 anni ha una sorella gemella, racconta. “Potreste essere gemelle” è il complimento che Paterson fa a Laura parlando di un'attrice.
Ma questo è a livello visuale o di dialogo. La grande immagine dei gemelli, del raddoppiamento, attraversa tutto il film a un livello più esteso – a partire ovviamente da Paterson/persona e Paterson/città (peraltro il protagonista non è una sorte di raddoppiamento di William Carlos Williams?). La bambina che Paterson incontra scrive poesie su un quaderno segreto, come lui. Laura dice a Paterson di aver trovato su Internet che Petrarca amava anche lui una Laura, e che una delle sue opere fu il “Libro segreto” (vero: il Secretum). Il cane Marvin è replicato in un quadro dipinto da Laura nel suo periodo pittrice. E soprattutto, il quaderno distrutto dal cane si raddoppia in un nuovo quaderno regalato a Paterson dal poeta giapponese (“A volte una pagina vuota presenta molte possibilità”). Paterson ricomincia a scrivere.
Così Paterson, film sulla poesia che diventa una poesia, diventa un meraviglioso gioco di specchi, una galleria di immagini doppie, un quieto vortice di rimandi. Dal quale usciamo colpiti ma non travolti, trapassati ma non feriti: pacificati.

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