Già
sul logo delle case di
produzione entra
il sonoro del decollo – e
l'incidente aereo coi motori in fiamme lo vediamo nei titoli! Nel
meraviglioso Sully
Clint Eastwood ci spiazza
tutti – anche perché la conclusione disastrosa è il contrario di
quel che sappiamo e siamo venuti a vedere. Certo,
dopo lo schianto fra i
grattacieli vediamo che era un sogno. Ma questa è un'anticipazione
del modo in cui il film si rapporta allo spettatore.
Audacia
di Eastwood: invece che mettere in scena la crisi secondo il consueto
ordine drammaturgico (preparazione,
incidente,
sviluppo post-crisi),
Eastwood col suo sceneggiatore Todd
Komarnicki distribuisce abilmente il racconto tra flashback e
ripetizioni, tre volte nonché due scene immaginarie, creando una struttura
anacronica (come già aveva
fatto in J. Edgar)
e con ciò distillandone, per
così dire, la
drammaticità. Si
dice sempre
che Eastwood è l'ultimo
grande regista classico, ed è vero. Ma
non
si insiste abbastanza sul fatto che proprio il classicismo può dare
peso a certe deviazioni dal
proprio modello narrativo, che nel cinema d'oggi – postmoderno, se
vogliamo dagli un'etichetta – sarebbero usual fare,
e quindi meno efficaci.
Come
tutti
sanno, il film racconta la
storia vera del comandante
Sullenberger (Sully)
che nel
2009, dopo l'incidente
(causato
da un birdstrike,
l'impatto contro uno sciame di uccelli)
si arrischiò ad ammarare con
l'aereo
privo di motori sul fiume Hudson, giacché
aveva calcolato che non
sarebbe
riuscito a raggiungere l'aeroporto
più vicino; e così salvò
tutti i passeggeri. Sully
diventa un eroe fra la gente comune di New York, ma la burocrazia
governativa lo mette sotto accusa perché le simulazioni al computer
dicono che avrebbe potuto raggiungere l'aeroporto. Di qui anche per
lui gli inevitabili
dubbi di fronte agli attacchi, comprendenti l'affermazione che il
motore di sinistra funzionava ancora (il che non coincide con i dati
che Sully aveva rilevato
in cabina). Nel contempo
il film ci informa con sobrietà sulla sua vita privata, attraverso
le sue telefonate
con la moglie (Laura Linney).
Sully è interpretato
da Tom Hanks, che era apparso
completamente bollito nel recente Inferno
di Ron Howard e che qui invece offre
un'eccellente interpretazione (del buon cast di contorno bisogna
ricordare anche Aaron Eckhart
nel ruolo del co-pilota
Jeff).
Il
cinema di una volta (e parlo del cinema mainstream,
mica
quello d'essai!) era in grado di costruire un film emozionante su una
discussione collettiva – un caso limite e un esempio fondamentale è
La parola ai giurati
di Sidney Lumet – mentre quello di oggi privilegia in assoluto
l'azione. Eastwood con Sully
ci dà la misura delle grandi potenzialità cinematografiche cui
abbiamo largamente rinunciato. E' sia prima sia durante questa discussione che
vediamo l'incidente, il
“pronti all'impatto”, l'ammaraggio;
e il procedimento anacronico ha potenziato grandemente l'effetto
emotivo.
Ebbene,
nel corso del dibattito – una sorta
di processo pubblico davanti alla commissione d'inchiesta – si
scopre l'imbroglio delle
simulazioni (attenzione,
fino alla fine del presente
paragrafo segue
spoiler).
Non solo anche il motore di sinistra era effettivamente andato, ma le
simulazioni di atterraggio con successo all'aeroporto erano riuscite
solo dopo diciassette prove; peggio
ancora, tali
simulazioni non comprendevano i 35 secondi necessari dopo il
birdstrike per
rendersi conto della situazione. Quando
si aggiungono
questi 35 secondi, i tentativi simulati di raggiungere l'aeroporto
portano al disastro.
E
a questo punto rivediamo, ampliato, l'incidente
e l'ammaraggio,
in potenti immagini di lucida
bellezza: qui Eastwood fa della vera poesia epica. Merita aggiungere
che le scene seguenti
dell'emergenza sull'Hudson
sono anche un omaggio agli uomini che proteggono New York; l'11
settembre (evocato obliquamente nel dialogo) persiste nella memoria.
Lo
abbiamo sempre detto: Clint Eastwood è hawksiano. Il cinema degli
uomini che sanno fare il loro lavoro: Sully
è una rivendicazione dell'esperienza, della capacità, dell'uso
delle mani e della mente in situazioni di pressione, contro la
tecnocrazia dei test al computer. Questo lo conferma la scena in
flashback della giovinezza di Sully col biplano: “Un pilota non
smette mai di acquisire conoscenza” –
e come lo fa? Volando, solo volando.
Umanesimo
di Eastwood: per lui, come per Howard
Hawks, nulla
vale quanto l'esperienza del professionista
cresciuto nel suo mestiere.
Il che, in un mondo che ha eletto a oggetto di culto il computer (e
anche, per inciso,
quel suo derivato stupidotto che sono i social), non è una lezione da
sottovalutare.
Il
discorso finale di Sully e
la commovente scena conclusiva, che
mostra l'autentico Sullenberger e sua
moglie attorniati
dai veri passeggeri
dell'aereo, anni dopo (“Saremo
legati per sempre”),
sono assolutamente necessari al film. Perché evidenziano un
carattere basilare della cultura americana: l'eroismo e la capacità
individuale si inseriscono nella
collettività, ed è questo che dà agli USA quel sentimento
inattaccabile del sentirsi nazione.
In questo senso la conclusione di Sully
si connette alla toccante conclusione (anch'essa, non per nulla,
materiale filmato autentico) di American Sniper, quando la bara di
Chris Kyle nel
suo ultimo viaggio viene salutata lungo tutta la strada da una
moltitudine di gente commossa che agita la bandiera stellata. E
pluribus unum.
1 commento:
"Sully, che cosa ci fai ancora in divisa?". Il vice Skiles a Sullenberger, in una comoda stanza d'albergo. Per Eastwood, come sarebbe stato per Hawks, Sully è prima di tutto il Pilota che sa pilotare: e lo è mentre porta un aereo così come lo è mentre fa jogging, o chiama la moglie, o assaggia un drink a lui intitolato.
"L'abbiamo fatto insieme, come una squadra. Il nostro lavoro". "Il nostro lavoro", ripetono Skiles e Sully come un mantra, mentre si allontanano per un attimo dall'udienza. E non si storcerebbe il naso se, per un attimo, sulle loro teste e ai loro fianchi comparissero stetson e cinturoni.
Sia benedetto Clint Eastwood.
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