mercoledì 7 dicembre 2016

Sully

Clint Eastwood

Già sul logo delle case di produzione entra il sonoro del decolloe l'incidente aereo coi motori in fiamme lo vediamo nei titoli! Nel meraviglioso Sully Clint Eastwood ci spiazza tutti – anche perché la conclusione disastrosa è il contrario di quel che sappiamo e siamo venuti a vedere. Certo, dopo lo schianto fra i grattacieli vediamo che era un sogno. Ma questa è un'anticipazione del modo in cui il film si rapporta allo spettatore.
Audacia di Eastwood: invece che mettere in scena la crisi secondo il consueto ordine drammaturgico (preparazione, incidente, sviluppo post-crisi), Eastwood col suo sceneggiatore Todd Komarnicki distribuisce abilmente il racconto tra flashback e ripetizioni, tre volte nonché due scene immaginarie, creando una struttura anacronica (come già aveva fatto in J. Edgar) e con ciò distillandone, per così dire, la drammaticità. Si dice sempre che Eastwood è l'ultimo grande regista classico, ed è vero. Ma non si insiste abbastanza sul fatto che proprio il classicismo può dare peso a certe deviazioni dal proprio modello narrativo, che nel cinema d'oggi – postmoderno, se vogliamo dagli un'etichetta – sarebbero usual fare, e quindi meno efficaci.
Come tutti sanno, il film racconta la storia vera del comandante Sullenberger (Sully) che nel 2009, dopo l'incidente (causato da un birdstrike, l'impatto contro uno sciame di uccelli) si arrischiò ad ammarare con l'aereo privo di motori sul fiume Hudson, giacché aveva calcolato che non sarebbe riuscito a raggiungere l'aeroporto più vicino; e così salvò tutti i passeggeri. Sully diventa un eroe fra la gente comune di New York, ma la burocrazia governativa lo mette sotto accusa perché le simulazioni al computer dicono che avrebbe potuto raggiungere l'aeroporto. Di qui anche per lui gli inevitabili dubbi di fronte agli attacchi, comprendenti l'affermazione che il motore di sinistra funzionava ancora (il che non coincide con i dati che Sully aveva rilevato in cabina). Nel contempo il film ci informa con sobrietà sulla sua vita privata, attraverso le sue telefonate con la moglie (Laura Linney). Sully è interpretato da Tom Hanks, che era apparso completamente bollito nel recente Inferno di Ron Howard e che qui invece offre un'eccellente interpretazione (del buon cast di contorno bisogna ricordare anche Aaron Eckhart nel ruolo del co-pilota Jeff).
Il cinema di una volta (e parlo del cinema mainstream, mica quello d'essai!) era in grado di costruire un film emozionante su una discussione collettiva – un caso limite e un esempio fondamentale è La parola ai giurati di Sidney Lumet – mentre quello di oggi privilegia in assoluto l'azione. Eastwood con Sully ci dà la misura delle grandi potenzialità cinematografiche cui abbiamo largamente rinunciato. E' sia prima sia durante questa discussione che vediamo l'incidente, il “pronti all'impatto”, l'ammaraggio; e il procedimento anacronico ha potenziato grandemente l'effetto emotivo.
Ebbene, nel corso del dibattito – una sorta di processo pubblico davanti alla commissione d'inchiesta – si scopre l'imbroglio delle simulazioni (attenzione, fino alla fine del presente paragrafo segue spoiler). Non solo anche il motore di sinistra era effettivamente andato, ma le simulazioni di atterraggio con successo all'aeroporto erano riuscite solo dopo diciassette prove; peggio ancora, tali simulazioni non comprendevano i 35 secondi necessari dopo il birdstrike per rendersi conto della situazione. Quando si aggiungono questi 35 secondi, i tentativi simulati di raggiungere l'aeroporto portano al disastro.
E a questo punto rivediamo, ampliato, l'incidente e l'ammaraggio, in potenti immagini di lucida bellezza: qui Eastwood fa della vera poesia epica. Merita aggiungere che le scene seguenti dell'emergenza sull'Hudson sono anche un omaggio agli uomini che proteggono New York; l'11 settembre (evocato obliquamente nel dialogo) persiste nella memoria.
Lo abbiamo sempre detto: Clint Eastwood è hawksiano. Il cinema degli uomini che sanno fare il loro lavoro: Sully è una rivendicazione dell'esperienza, della capacità, dell'uso delle mani e della mente in situazioni di pressione, contro la tecnocrazia dei test al computer. Questo lo conferma la scena in flashback della giovinezza di Sully col biplano: “Un pilota non smette mai di acquisire conoscenza” e come lo fa? Volando, solo volando.
Umanesimo di Eastwood: per lui, come per Howard Hawks, nulla vale quanto l'esperienza del professionista cresciuto nel suo mestiere. Il che, in un mondo che ha eletto a oggetto di culto il computer (e anche, per inciso, quel suo derivato stupidotto che sono i social), non è una lezione da sottovalutare.
Il discorso finale di Sully e la commovente scena conclusiva, che mostra l'autentico Sullenberger e sua moglie attorniati dai veri passeggeri dell'aereo, anni dopo (“Saremo legati per sempre”), sono assolutamente necessari al film. Perché evidenziano un carattere basilare della cultura americana: l'eroismo e la capacità individuale si inseriscono nella collettività, ed è questo che dà agli USA quel sentimento inattaccabile del sentirsi nazione. In questo senso la conclusione di Sully si connette alla toccante conclusione (anch'essa, non per nulla, materiale filmato autentico) di American Sniper, quando la bara di Chris Kyle nel suo ultimo viaggio viene salutata lungo tutta la strada da una moltitudine di gente commossa che agita la bandiera stellata. E pluribus unum.

1 commento:

Paolo ha detto...

"Sully, che cosa ci fai ancora in divisa?". Il vice Skiles a Sullenberger, in una comoda stanza d'albergo. Per Eastwood, come sarebbe stato per Hawks, Sully è prima di tutto il Pilota che sa pilotare: e lo è mentre porta un aereo così come lo è mentre fa jogging, o chiama la moglie, o assaggia un drink a lui intitolato.

"L'abbiamo fatto insieme, come una squadra. Il nostro lavoro". "Il nostro lavoro", ripetono Skiles e Sully come un mantra, mentre si allontanano per un attimo dall'udienza. E non si storcerebbe il naso se, per un attimo, sulle loro teste e ai loro fianchi comparissero stetson e cinturoni.

Sia benedetto Clint Eastwood.