Gastón
Duprat e Mariano Cohn
“La
realidad no existe”, dice il protagonista del film. Evidentemente
nella cultura sudamericana il rapporto e lo scambio fra l'invenzione
letteraria e la realtà è un tema fortissimo (non per niente Borges
era argentino!). Lo ha declinato, in forme non del tutto convincenti,
il recente Neruda di Pablo Larrain; ed è il tema della bella
commedia nera Il cittadino illustre di Gastón Duprat e
Mariano Cohn, che all'ultima Mostra di Venezia ha procurato a Oscar
Martinez il premio come miglior attore. Il film ha la capacità di
mettere insieme con efficacia e sicurezza i suoi due assi portanti:
un'ironica allegoria della scrittura e una satira molto concreta e
sanguigna dell'Argentina profonda.
Giustamente
il protagonista Daniel Mantovani è uno scrittore; e il film inizia
con il suo discorso a Stoccolma quando gli viene assegnato il premio
Nobel, in cui gela il raffinato l'uditorio dichiarando che il compito
dell'artista è turbare le coscienze, per cui il Nobel è certamente
un onore ma sancisce il suo declino. Una scena intelligente e
divertente – anche se, ora che esce il film, i numeri di Snob Dylan
l'hanno, come dire, un po' indebolita.
Cinque
anni dopo, Mantovani vive ritirato e rifiuta programmaticamente
interviste, incontri e onorificenze. Ma ecco che accetta di andare
(da solo) a Salas, il suo paese natale nel mezzo del nulla, dove non
era mai ritornato dopo averlo lasciato da giovane, e dove sarà
proclamato “cittadino illustre”. Bisogna però aggiungere che in
un certo senso Mantovani non ha mai lasciato Salas, perché tutto
quello che ha scritto richiama le esperienze della sua giovinezza
laggiù, amplificate a formare un grande quadro della condizione
umana.
Il
film ha un'ambigua comicità nel descrivere come gli abitanti di
Salas – che si sfiatano a dichiararsi molto fieri del loro
concittadino – credano di riconoscere in tutta la sua opera, in
ogni personaggio, in ogni avvenimento, perfino in ogni storia narrata
da Mantovani lì per lì, sempre un riferimento concreto al piccolo
mondo del paese. Di fronte a quest'insistenza euristica Mantovani ha
un bel rivendicare l'indipendenza dell'arte dal contingente,
dall'ideologia, dalla morale (cita audacemente Leni Riefenstahl).
Probabilmente è il solo difetto del film che il programma di
trasformare Mantovani in un portavoce della concezione dell'arte come
invenzione e provocazione sia un po' troppo presente e insistito. Ma
questo è fondamentalmente un film di sceneggiatura; e del resto, la
conclusione – che non occorre svelare qui – retrospettivamente lo
giustifica.
La
perfezione sta nei dettagli, e Il cittadino illustre ne
contiene alcuni assolutamente esilaranti: il filmato celebrativo di
Mantovani costruito al computer, dove la bruttezza assoluta della
realizzazione raggiunge un vertice di veridicità; l'intervista alla
radio locale; la terrificante mostra di pittura amatoriale dove
Mantovani è invitato come presidente della giuria, e senza volerlo
sconvolge gli equilibri politici della cittadina.
Tutti
perseguitano Mantovani per esternare questi due gemelli etimologici,
il riconoscimento e la riconoscenza; mentre lui, sempre più
perplesso, incontra vecchie conoscenze e un vecchio amore come
fantasmi sempre più inquietanti. Tanto più che è entrato in scena
l'antico miglior amico di Mantovani, il quale ha sposato la sua
antica fidanzata – e c'è qualcosa di minaccioso nell'insistenza
con cui allude, in mezzo alle dichiarazioni di amicizia fraterna, al
fatto che adesso lei è sua. L'amicizia di cui è circondato mostra
nascoste fragilità, e dietro i sorrisi spuntano ghigni.
La
cosa migliore del film è proprio quell'atmosfera di minaccia che si
costruisce lentamente, dapprima impalpabile e quasi kafkiana,
confondendosi con la ridicolaggine imbarazzante di un provincialismo
benintenzionato, poi definendosi a poco a poco, dapprima con l'aperta
contestazione di un gruppo iper-conservatore, per poi esplodere nel
terrore.
Un
processo di degradazione che viene anticipato nella sequenza
buffissima del viaggio di Mantovani verso il paese, sull'auto di un
ciccione scemo che il comune ha mandato a prenderlo all'aeroporto più
vicino. Ove assistiamo alla distruzione della scrittura di fronte
alla brutale realtà: i due restano in panne in una landa sperduta, e
i libri di Mantovani servono ad accendere il fuoco del bivacco o per
un uso ancora più degradante quando il ciccione ha bisogno di
ritirarsi dietro un cespuglio.
Così,
da cittadino illustre a nemico pubblico il passo è breve (lo sapeva
già Shakespeare…). E il livido quasi-finale del film non solo
corona perfettamente la sua paziente costruzione dell'atmosfera ma ci
fa capire qualcosa sulla ferocia della storia argentina del
Novecento.
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