Ha
senso
parlare
di un cortometraggio
che (quasi)
sicuramente i lettori di
questo blog non
vedranno mai? Beh: potrebbe
averlo se pensiamo che può
suggerire un nome, un
autore;
del resto, in questa sede ho pubblicato una panoramica
sui film
orientali visti al Tokyo International Film Festival 2016, e quanti
di questi saranno visibili da noi? Beninteso, Hey,
Oishi di
Kikuzawa Masanori non è stato presentato al TIFF: è un
cortometraggio (quasi un mediometraggio: 26') che è stato
selezionato per il Pia Film Festival. Un
cortometraggio
totalmente d'avanguardia,
che
rientra
nella categoria arthouse
(ovvero, d'essai) – non privo di difetti, ma
impressivo,
con una sua forza poetica,
che si
imprime nella memoria con
l'assolutezza
del suo senso
di smarrimento, solitudine
e rimpianto.
Sull'inizio
risuonano slogan pacifisti di
protesta
sul proposto cambiamento
della
costituzione giapponese. Arriva
in bici Masanori, si sporge dal
ponte e chiama Oishi, che sta
lì sotto sulla riva del fiume. I due
discutono prima sulle proteste, in tono vagamente beckettiani, ma
l'argomento su cui si spostano ben presto è il rimpianto delle
madri, entrambi morte, che assume toni strazianti nel
racconto (dove si introduce la preoccupazione di Dostoevskij: se Dio
non c'è, tutto è lecito); nella
“visita
guidata” alla casa demolita, forse
immaginata, ora un campo; e
soprattutto in una sorta di
evocazione simbolica
(un drama, dicono):
“Madre, madre, dove sei? … Alla veglia le tue guance erano così
fredde” - mentre l'altro gira intorno mimando una figura di madre
che non è vista né
sentita; e poi si scambiano le parti.
Nella
notte questo confronto di anime disperate diventa un colloquio
“parlandosi” con un alfabeto di lampade agitate nel buio (il
film lo rende
in didascalia).
Oishi dice
“Andrò dritto lungo il fiume, ci dovrebbe essere un'altra casa per
me”, e che sua
madre potrebbe essere ancora viva. Scompare.
Il giorno dopo, Masanori
arriva in bici e non c'è nessuno. La sera, nuovi messaggi di luce
all'assente
Oishi. Masanori opina che
forse è andato a casa di sua madre a salutarla. Lo sentiamo gridare
ancora, inutilmente, “Hey,
Oishi!” - poi gli
slogan contro la guerra soverchiano crescendo la sua voce.
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