(Possibile
sottotitolo: Note di un conservatore). Spiace dirlo, ma è una doppia
delusione il Romeo and Juliet diretto da Kenneth Branagh e Rob
Ashford per la Kenneth Branagh Theatre Company al teatro Garrick di
Londra, e visto nei cinema grazie alla benemerita Nexo Digital.
Una
doppia delusione - ove la prima delle due riguarda la regia delle
riprese cinematografiche di Benjamin Caron. Questa sembra concepita
per illustrare il detto “Il meglio è nemico del bene”. Dobbiamo
spiegare che l'idea base dello spettacolo (di cui parleremo dopo) è
di mettere in scena la tragedia in un'Italia fine '50 inizio '60, con
esplicito riferimento a film come La dolce vita. Per questo,
Caron e Branagh hanno pensato bene di usare il bianco e nero: al
cinema, assistiamo allo spettacolo teatrale in un b/n che comprende
le inquadrature del pubblico e del sipario.
Qui
si tocca
il problema
passabilmente
spinoso di quel
terrain vague che si
stende
fra il teatro e la sua registrazione. E' inevitabile
- e benvenuto!
- in questo tipo di “teatro
sullo schermo” un elemento di montaggio, per variare il
punto di vista e soprattutto per rendere i primi piani degli
interpreti. Si può anche accettare (controvoglia per quel che mi
riguarda) la regia molto libera di Caron con zoom e angolature
dall'alto che concretizzano un'esperienza visiva ancor più lontana
dalla visione teatrale.
Ma
con l'entrata del b/n siamo del tutto fuori dal teatro. Perché il
teatro è la vita, la materialità, la realtà sul palco; una realtà
che comprende il colore per sua natura. Onde se vuoi suggerire il b/n
devi agire sulla messa in scena, non sulla sua registrazione.
Si
dirà; ma appunto di registrazione si tratta, e non dello spettacolo.
Ma, rispondo, si tratta di una registrazione che vuole aggiungere
abusivamente un di più allo spettacolo: così quello che vediamo è
un object inconnu a
metà strada:
non è più
teatro e non è ancora cinema. Il
compromesso è fallito; l'aura è andata a farsi friggere.
La
delusione, tuttavia, riguarda anche la messa in scena in sé. Come
già detto, lo spettacolo di Branagh evoca un'Italia (con tratti più
meridionali che veronesi, a dire il vero) intorno al 1960; fra
l'altro, a creare il colore locale, abbondano pesanti interpolazioni
in (cattivo) italiano. Va detto per inciso che quest'italianità si
esprime nei costumi e negli oggetti di scena, non nella scenografia
minimale. Ad ogni modo, lo spettacolo sembra una copia poco riuscita
di quello che, in passato al cinema, aveva fatto assai bene Baz
Luhrmann (Romeo+Juliet, che si reggeva, giova ripeterlo, su un
uso dell'anacronismo geniale e calibratissimo).
Si
capisce bene l'intento: sul piano della messa in scena Romeo e
Giulietta è la tragedia shakespeariana più a rischio di
trasformarsi in figurina dei cioccolatini. Ma la legittima ricerca di
un approccio originale non autorizza a certe soluzioni infelici
(Giulietta all'inizio della scena del balcone è ubriaca come un
lord) o ridicole (il Principe in divisa da carabiniere) o che
stridono col testo (Romeo che fa un gestaccio a Tebaldo nella scena
della pace; Frate Lorenzo che è molto più giovane di Romeo).
Per
inciso, ci si potrebbe anche chiedere come fa Tebaldo, figlio del
fratello del vecchio Capuleti, a esser nero; se l'attore fosse stato
migliore, gli si poteva dare la parte di Frate Lorenzo, e contenti
tutti.
E'
un peccato perché il cast è generalmente buono; vanno ricordate in
particolare Giulietta (Lily James) e la Nutrice (Meera Syal); e ovviamente il venerando Derek Jacobi nella parte di un Mercuzio
anziano è delizioso, anche se soffre un po' dei limiti della messa
in scena nella scena del duello.
Naturalmente
una regia di Kenneth Branagh non manca mai di buone idee. Impressivo
il finto suicidio di Giulietta la notte prima del matrimonio con il
conte Paride, con quella drammatica caduta di veli/cortine. Ed è
certo un bene che che sia rispettato, e anzi messo in evidenza,
il carattere bawdy, sboccato,
di molti passaggi del testo shakespeariano (io a tal proposito
avrei mantenuto l'intera scena iniziale degli uomini di casa
Montecchi, qui sacrificata). Tuttavia, un po' di maggiore
ponderazione sarebbe stata necessaria; s'intervenga quanto si vuole,
ma lo si faccia senza mano pesante; ed è lo stesso Branagh in molte
regie teatrali e cinematografiche (vogliamo ricordare il suo
bellissimo Amleto ottocentesco?) ad averlo dimostrato.
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