giovedì 25 agosto 2016

The Witch

Robert Eggers

Nello splendido The Witch, scritto e diretto da Robert Eggers, siamo nel tetro New England puritano del Seicento. Una famiglia, padre, madre e quattro figli, viene allontanata dal villaggio per dissensi religiosi e si stabilisce al limitare della foresta. L'assalto delle forze diaboliche, annunciato dalla misteriosa sparizione di un figlio neonato, la distruggerà. La figlia maggiore, la giovane Thomasin (Anya Taylor-Joy) è il fulcro di questo racconto psicologicamente articolato, con una notevole descrizione dei personaggi e una verità antropologica nella ricostruzione del passato.
La narrazione, lontana dai consueti stilemi dell'horror, è sobria, cupa, drammatica, audacemente scandita da “neri” lunghi e come dolorosi. La magnifica fotografia di Jarin Blaschke possiede un tocco pittorico che trasforma le frequenti scene di interni bui illuminati dalle candele in senso rembrandtiano (mentre si potrebbe vedere un ricordo di Andrew Wyeth nel nudo di spalle davanti alla foresta che apre il finale).
Quando la famiglia espulsa se ne va, la sua uscita dal villaggio su un carretto è una semisoggettiva mentre il viaggio verso la foresta cantando un inno è un'inquadratura oggettiva ripresa da dietro: i protagonisti non se ne rendono compiutamente conto, ma è un'uscita dal consorzio umano in un viaggio verso la wilderness: la foresta dove si annida il male. Perché la sterminata foresta americana non è la foresta europea (che pure è luogo di creature mitiche); la wilderness americana è un territorio totalmente altro, in ragione della sua grandezza inconcepibile (i primi pionieri dovevano sentirsi come topolini entrati nella casa di un gigante). Questa enorme distesa selvaggia integra la wilderness interiore (ed ecco che la scena del “catechismo” fra padre e figlio nella foresta, con la sua insistenza sul peccato originale nella cupa visione calvinista, non è per nulla solo descrittiva). Conquistare la prima vuol dire domare l'altra – ma qui un'antropologia totalmente negativa come quella calvinista lascia l'uomo pressoché disarmato. The Witch riprende perfettamente il grumo di paure dei primi colonizzatori: in una parola, il sospetto che il diavolo sia americano.
Così, due campi, due territori si fronteggiano: la misera fattoria assediata e l'immenso spazio boscoso che le si stende davanti. In coerenza con le credenze tradizionali sulla stregoneria, che il film tiene accuratamente presenti, i rappresentanti dell'assalto del male sono gli animali: la lepre scura che appare nella foresta, il lupo (solo evocato), i corvi, e naturalmente il caprone nero.
E' pur vero che la scena della preghiera appena arrivati, rivolti verso la foresta, riporta il volontarismo del pioniere puritano (l'inquadratura che la precede, col cielo immenso sopra le colline, è insieme sgomentante e consolante); ma già in questa scena il commento musicale (ottimo lavoro di Mark Korven) le si oppone significando ansia. Da notare che nella conclusione troveremo un'inquadratura opposta, che è quasi un'immagine generatrice del film: la testa di Thomasin, da dietro, in PPP, fuori fuoco, mentre a fuoco è la foresta davanti a lei.
Ed è pur vero che, come dice il padre al figlio Caleb, “Conquisteremo questa terra selvaggia, non ci faremo distruggere”. Ma a quest'affermazione risponde più tardi il “Moriremo tutti” della madre disperata. Che la foresta non si lasci conquistare lo mostra, prima ancora dell'attacco del male, il mais guasto e malato del campo.
Lo spirito di persecuzione puritano – lo stesso che si espresse lo stesso secolo nei processi di Salem – attraversa il film fin dalla scena di apertura, che mostra una condanna reciproca: allorché i cittadini del villaggio espellono la famiglia, il padre annuncia la loro dannazione. Bene si esprime nella cupa e commovente “confessione” in preghiera dei propri peccati (miseri peccati!) con la quale ci viene presentato il personaggio di Thomasin. Nel corso del film, la famiglia puritana si disgrega in una rete di obblighi e di patti/ricatti di silenzio, di segreti e menzogne per omissione, che avvolge tutti. Sul che s'innesta il sospetto della stregoneria (“Orridi simulatori tutti!” urla il padre). Naturalmente nella diegesi di questo film, che è un alto esempio di horror, le forze demoniache sono una realtà oggettiva, ma The Witch non dimentica mai il doppio livello, le contraddizioni entro la famiglia e il potere maligno che spira dalla foresta: doppio livello che prima scorre parallelo e poi si fonde in un quadro di veridicità impressionante. Nel quale rientra naturalmente la sessualità: la nascita della sessualità adolescenziale di Caleb, che prima si esprime in insistiti sguardi al seno della sorella maggiore e poi viene sussunta in senso demoniaco (la strega dai grandi seni nella foresta). A tale proposito, un tocco geniale è la sensualità ambiguamente presente nell'invocazione a Gesù del ragazzo morente, che contiene un vero frisson infernale.
Come accade sempre nella caccia alle streghe la domanda è: chi di noi? Chi è la strega (witch può essere anche maschile) nella famiglia? L'aggressione esterna si rovescia in interna. Accuse e controaccuse attraversano il film. E' Thomasin lo strumento dell'infiltrazione diabolica, o lo sono i due gemelli disobbedienti, che dicono di parlare col caprone e inventano inquietanti canzoni in sua lode? “Siete stregoni?”, è la domanda angosciata che Thomasin rivolge loro quando sono rinchiusi insieme dal padre terrorizzato e furente.
Bisogna aggiungere (a costo di un grosso spoiler) che l'innocente Thomasin, quella più sospettata, è - entro un contesto horror, beninteso - analoga alla Anne del dreyeriano Dies Irae: il sospetto ingiusto di stregoneria la renderà una strega nello sconvolgente finale. Nessuno si salva, la preghiera si rivela inefficace; il diavolo vi prenderà attraverso i vostri figli, sembra sussurrare la foresta ai due genitori; nessuno è al sicuro perché nessuno è sicuro. Così il film riprende il pessimismo radicale espresso da Nathaniel Hawthorne – che del New England puritano è il cantore – nel famoso racconto Il giovane Goodman Brown.

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