domenica 15 maggio 2016

Sori: Voice from the Heart

Lee Ho-jae

Un robot/satellite intelligente diviene obiettore di coscienza quando scopre di essere usato in guerra per dirigere i droni, “fugge” in Corea e viene ricercato dai servizi di sicurezza americani e coreani. Un uomo disperato per la sparizione della figlia, avvenuta anni prima dopo un litigio, stringe con lui una bizzarra alleanza alla ricerca della ragazza - che secondo tutti è morta in un incendio nella metropolitana, ma lui non ci crede.
Sebbene il “disegno” del robot/satellite venga da Star Wars (con un miglioramento della testa, sul quale si basa la sua stupefacente espressività), il film di Lee Ho-jae è assolutamente spielberghiano: per la situazione e la visuale del personaggio (E.T.), per la concezione morale generale, per molte inquadrature. Per esempio si può osservare che, quando il protagonista e Sori sono bloccati al porto, quelle luci di riflettori sparate su di loro sono, sì, naturali nella situazione ma sono nondimeno le classiche “luci in macchina” di Spielberg; e infatti qui il film sembra richiamare visivamente un'altra sua opera, Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Ma la preoccupazione, legittima, che si tratti di un film-fotocopia non ha luogo: perché l'eccellente Sori: Voice from the Heart non si esaurisce sull'impronta spielberghiana con l'amicizia col robot. Sori porta avanti con intelligenza tanto il tema collaterale della fine della privacy quanto e soprattutto quello del rapporto fra il padre e la figlia, che finisce per diventare la vera ossatura del film, il suo strato più interno. Questo rapporto padre-figlia colpisce anche grazie alla costruzione a flashback sovrapposti, che svelano la backstory a poco a poco (l'interpretazione di Lee Sung-min nel ruolo di Kim, il padre, è magistrale, non solo in sé ma anche per l'abilità di incarnare tre diverse facce per età e condizione); così la storia risulta molto più commovente che se fosse stata esposta in un momento solo. Ed è un tocco di coraggio geniale, impensabile in un film hollywoodiano, che si scopra alla fine che la figlia è effettivamente morta).
Il film ha una sceneggiatura logica e robusta, con ottimi dialoghi (dice il robot dopo la promessa di Kim di aiutarlo: “Gli umani non sono capaci di mantenere il 73.4% delle promesse”). Ma si fa notare anche la raffinatezza stilistica, all'interno di un film apertamente popolare; lascia colpiti, per esempio, l'inizio con i salti di tempo nell'inquadratura della gelateria assai elegantemente “nascosti” dal passaggio di veicoli o persone. E la pagina del viaggio di Sori da solo per le strade coreane, in un freddo mattino presto, è veramente da antologia.

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