Un
robot/satellite intelligente diviene obiettore di coscienza quando
scopre di essere usato in guerra per dirigere i droni, “fugge” in
Corea e viene ricercato dai servizi di sicurezza americani e coreani.
Un uomo disperato per la sparizione della figlia, avvenuta anni prima
dopo un litigio, stringe con lui una bizzarra alleanza alla ricerca
della ragazza - che secondo tutti è morta in un incendio nella
metropolitana, ma lui non ci crede.
Sebbene
il “disegno” del robot/satellite venga da Star Wars (con
un miglioramento della testa, sul quale si basa la sua stupefacente
espressività), il film di Lee Ho-jae è assolutamente
spielberghiano: per la situazione e la visuale del personaggio
(E.T.), per la concezione morale generale, per molte
inquadrature. Per esempio si può osservare che, quando il
protagonista e Sori sono bloccati al porto, quelle luci di riflettori
sparate su di loro sono, sì, naturali nella situazione ma sono
nondimeno le classiche “luci in macchina” di Spielberg; e infatti
qui il film sembra richiamare visivamente un'altra sua opera,
Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Ma
la preoccupazione, legittima,
che si tratti di
un film-fotocopia non ha luogo: perché l'eccellente
Sori: Voice from the
Heart non
si esaurisce sull'impronta spielberghiana con
l'amicizia col robot.
Sori
porta avanti con intelligenza tanto
il tema collaterale della fine della privacy quanto
e soprattutto quello del
rapporto
fra il padre
e la figlia,
che finisce per diventare la vera ossatura del film, il suo strato
più interno. Questo rapporto padre-figlia colpisce anche
grazie alla costruzione a flashback sovrapposti, che svelano la
backstory a poco a poco (l'interpretazione
di Lee Sung-min nel ruolo
di Kim, il padre, è
magistrale, non solo in sé ma anche per l'abilità di incarnare tre
diverse facce per età e condizione); così la storia risulta
molto più commovente che se fosse stata esposta in un momento solo.
Ed è un tocco di coraggio geniale, impensabile in un film
hollywoodiano, che si scopra alla fine che la figlia è
effettivamente morta).
Il
film ha una sceneggiatura logica e robusta, con ottimi dialoghi (dice
il robot dopo la promessa di Kim di aiutarlo: “Gli umani non sono
capaci di mantenere il 73.4% delle promesse”). Ma si fa notare
anche la raffinatezza stilistica, all'interno di un film apertamente
popolare; lascia colpiti, per esempio, l'inizio con i salti di tempo
nell'inquadratura della gelateria assai elegantemente “nascosti”
dal passaggio di veicoli o persone. E la pagina del viaggio di Sori
da solo per le strade coreane, in un freddo mattino presto, è
veramente da antologia.
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