domenica 15 maggio 2016

Creepy

Kurosawa Kiyoshi

Ci sono due punti di svolta nella costruzione di Creepy. Il primo è naturalmente quando i due coniugi – un ex poliziotto e sua moglie, appena trasferitisi - portano ai vicini il tradizionale regalo dei nuovi arrivati, come da tradizione giapponese - e questi regali vengono respinti con un misto di indifferenza e ostilità. Ci colpisce come un allontanamento dalla tradizione giapponese; e abbiamo un bel metterla sul piano dell'allentamento dei rapporti sociali nel mondo contemporaneo, ma il modo bizzarro e inquietante (creepy) in cui ciò si svolge introduce nel film un elemento di allarme: paradossalmente sarebbe stata più comprensibile una ripulsa maleducata. Con questa strana ambiguità di comportamento, che lascia supporre misteri nascosti (e infatti sentiamo parlare della madre malata di una vicina, della moglie dell'altro, ma non le vediamo) siamo già in area Hitchcock – e Creepy è un film fortemente hitchcockiano. Lo diventa ancora di più – perché tocca il tema hitchcockiano dell'indecifrabilità degli esseri umani, specie quelli che credi di conoscere di più – quando si arriva al secondo punto di svolta, che è un mutamento di prospettiva morale.
In principio infatti l'asse morale del film sembra semplice: “buoni” (i due coniugi) vs. “cattivi” (i vicini coi loro segreti). Questo è solo rafforzato dagli accenni di rivelazione della figlia del vicino Nishino. Costui si caratterizza subito come il perno del segreto, e quando la moglie del protagonista comincia a frequentarlo crediamo di vedere la classica situazione della “bella-ma-sciocca” che si mette nei guai. Ma quando il comportamento di lei cambia, implicando un rapporto di complicità con Nishino, ecco che l'asse morale del film viene spostato (e qui ci rendiamo contro della somiglianza di comportamento con la famiglia scomparsa del cold case su cui l'ex poliziotto indaga).
Ed è un mutamento non solo di asse morale ma di genere: perché cominciamo a sospettare che una trasformazione simile non possa verificarsi nel quadro realistico del thriller ma implichi qualche tipo di spiegazione più affine al fantastico. Nonostante ciò, siamo sempre in territorio hitchcockiano, ribadito da una citazione patente: quando il vecchio poliziotto si introduce in casa di Nishino, è Psycho, con il sarcastico rovesciamento finale che la sua demise invece che dall'alto viene dal basso (la botola nascosta).
L'elemento fantastico della droga che annulla parzialmente la personalità, del resto, è introdotto molto bene mediante un'analogia con le droghe del mondo reale (la vittima che sembra in crisi di astinenza). Quando poi tutto il quadro si è rivelato, l'inarrestabilità di questa droga ci fa pensare al concetto di epidemia (tutt'altro che ignoto a Kurosawa Kiyoshi) - ma in un certo senso anche agli zombi: se posso dirlo, una zombizzazione della personalità anziché della carne - e in questo senso anche più inquietante.
 

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