Non è esatto che sia un
omaggio alla Hammer Film, come è stato detto, il gothic romance di
Guillermo Del Toro Crimson Peak. E’ molto
lontano dallo stile secco della Hammer; benché si svolga per la maggior parte in
Scozia, è più americano che inglese; il suo nume tutelare è con
tutta evidenza Edgar A. Poe (La caduta della casa degli Usher) - anche
se Del Toro nelle interviste menziona le atmosfere di Cime tempestose e Jane Eyre.
Certamente c’è un omaggio alla Hammer nel cognome della protagonista Edith (Mia
Wasikowska), Cushing – ma in realtà (uno scherzo nascosto?) è il suo
corteggiatore e poi sposo, Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), ad assomigliare a
Peter Cushing da giovane, negli occhi azzurri e nel viso affilato.
Nel ricco, elegante manierismo
di Del Toro, Crimson Peak è piacevole
e molto avvincente, caratterizzato da eccellenti interpretazioni del trio
protagonista. Nel montaggio si notano alcuni preziosismi come un paio di belle
pseudo-carrellate che congiungono due scene, o il recupero di quell’antico
segno d’interpunzione che è la chiusura in iride.
La tensione sempre
presente in Del Toro verso l’infanzia e il passato si esalta in questo thriller
gotico in costume, storia di avvelenamenti e orrori segreti in una lugubre casa
in mezzo al nulla, fondamentalmente un contorto retelling della storia di Barbablù. Lo sviluppo è certamente
prevedibile, ma proprio per questo Del Toro (co-sceneggiatore con Matthew
Robbins) mette subito le carte in tavola, sia coll’apparizione come prologo (circolare
al finale) di Edith ferita, sia mostrandoci subito, appena appena velati, i
maneggi dei fratelli Sharpe, Sir Thomas e sua sorella Lucille (Jessica
Chastain). Dunque il motivo di suspense del film non è tanto sul “cosa
succederà” ma sul “come”, e in particolare sull’ambiguità psicologica del
personaggio di Thomas. E’ un film sul lato oscuro dei sentimenti.
Certo, è popolato da
spettri, che avvertono e denunciano. Sono figure miserande e terribili, anche
quando siano protettive, come il fantasma della madre: entità ectoplasmatiche
che vanno in disfacimento nel momento stesso in cui appaiono, fatte d’ombra e
di fumo; esseri di un nero bruciato o del rosso del sangue, che si muovono
fluttuando o scivolando come nel cinema orientale. Sono visualmente rimarchevoli,
e più di tutti quella figura alla Salvador Dalì che si intravede nell’incubo di
Edith.
Sotto questa storia di
spettri e di delitti giace un’altra storia sottesa, una storia di crudeltà
familiari – e di incesto, tema non nuovo nell’opera di Del Toro. Il quale peraltro
non è un regista horror stricto sensu:
anche Crimson Peak si svolge in
un’atmosfera, benché orrorifica, quasi fantastica e fiabesca. La feroce dark lady ha qualcosa che si avvicina
all’estremismo delle fiabe; e la protagonista Edith (scrittrice di storie romantiche
con fantasmi) pur essendo adulta mantiene tuttavia qualcosa della bambina.
Anche per questo il film glissa sull’elemento sessuale, che qui sarebbe entrato
agevolmente (pensiamo a In compagnia dei
lupi di Neil Jordan!); pure un’illustrazione pornografica che compare a un
certo punto serve più che altro a informarci che dopo le nozze Edith ha
conservato la verginità.
Il rosso è il filo
conduttore cromatico del film (già ce ne avvertono i loghi tinti in rosso della
Universal e della Legendary Pictures): non dico il rosso del sangue ma il rosso
scarlatto dell’argilla di Crimson Peak (che naturalmente sta per il sangue), onnipresente: la fanghiglia rossa che filtra da
sotto le assi del pavimento, l’acqua che esce rossa dal rubinetto del bagno, le
“vasche” rotonde piene di un liquido color sangue, contenenti un macabro
segreto, e soprattutto la neve che si macchia di rosso per l’argilla che sta
sotto. In quest’argilla sanguigna la casa sta lentamente sprofondando (Poe). La
fotografia di Dan Laustsen dona a Crimson
Peak una peculiare bellezza cromatica. Nella lotta fra il rosso, il bianco
e il nero si inseriscono freddi toni azzurrini e audaci riflessi verdastri che
fanno pensare alle più audaci scelte coloristiche di Floyd Crosby per Roger
Corman (nonché, Del Toro dixit, Mario Bava).
Guillermo Del Toro è un
regista molto graphic. In lui, senza
togliere nulla al plot, v’è una centralità dell’aspetto visuale. E per Crimson Peak l’accuratissima
preparazione grafica è stata basilare – come si vede dal volume illustrato Crimson Peak: The Art of Darkness di
Mark Salisbury, appena uscito. Di questo lavoro certosino, comprendente
un’accuratissima ricerca sui costumi, tutto è notevole; ma quel che più di
tutto si fa ricordare è la casa (e sì che di “dimore cannibali” ne abbiamo
viste tante): questa immensa casa tetra, che dal tetto sfondato fa piovere nel
salone raggi di luce gelida e fiocchi di neve come una versione crudele e
perversa di Hogwarts; questa casa piena di scure farfalle malate, coi suoi
corridoi infestati da fantasmi, con le stanze piene di vecchie cose inquietanti
(le teste di bambolotti che “guardano” Edith quando sta per fare l’amore col
marito) pronte a rivelare misfatti sepolti (i rulli fonografici e le foto
ingiallite).
I bei titoli di coda che
girano per la casa presentano come inquadratura finale la copertina di un
libro: Crimson Peak di Edith Cushing.
Dunque la piccola Edith ha coronato il suo sogno di divenire scrittrice? E’ questo
un racconto autobiografico? O è la visualizzazione di una sua fantasia? Ma quel
ch’è certo – vista la figura di Sir Thomas nel film – è che abbiamo assistito
alla materializzazione del progetto narrativo esposto da Edith all’inizio: una
storia di fantasmi che non sia una storia di fantasmi, in cui l’elemento
romantico – il sentimento – passi in primo piano.
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