lunedì 29 settembre 2014

Lo straniero

Orson Welles
Autore di grandi film da Shakespeare, shakespeariano Orson Welles lo è stato in tutto il suo cinema, dove ritorna ossessivamente il concetto dell’individuo titanico contrapposto alla mediocrità della massa. Beninteso, nella democrazia americana, nei pubblici diritti, Welles - politicamente un democratico rooseveltiano - vede il fondamento del vivere civile. Tuttavia il suo cinema è popolato di giganti più grandi del bene e del male. In un bellissimo libro, Orson Welles: The Stories of His Life, Peter Conrad analizza perfettamente la feconda scissione presente in Welles, per cui il suo ritratto di figure faustiane non è pura mimesi interpretativa, bensì la messa in scena spettacolare, la resa artistica di una duplicità interiore.
Fra questi personaggi davvero shakespeariani il più memorabile, accanto al “cittadino Kane”, è certamente lo Hank Quinlan de L’infernale Quinlan (e in misura minore come profondità Mr. Arkadin). Ma che dire di Franz Kindler, criminale nazista rifugiato in America sotto falso nome ne Lo straniero? Certamente Welles odia la figura che interpreta; merita ricordare che Lo straniero fu il primo film a inserire al proprio interno filmati autentici dei campi di sterminio, per sottolineare la profondità del male. Però per quanto abietto sia Kindler, egli torreggia sopra una comunità di pigmei.
Vi sono nella città di Harper due vecchi saggi: il proprietario del drugstore (un’interpretazione di Billy Hale che ruba la scena a tutti) e il vecchio giudice della Corte Suprema, appartato e inascoltato dalla sua stessa figlia. Il primo richiama una “vecchia America” nostalgica (si pensa ai concittadini degli Amberson); il secondo, quei circoli di intellettuali democratici che Welles frequentava. Ma gli altri!
Una satira feroce investe l’intero paese. L’ottusità con venature isteriche dell’ignara moglie di Rankin/Kindler, Mary/Loretta Young, che è l’ultima ad accettare di rendersi conto di ciò che è evidente. Le zitelle che si bevono le ciance di Kindler ripetendo garrule “Lei è un professore smemorato”. I ragazzotti della high school che nel bosco giocano a rimpiattino (fra l’altro qui il film allude ironicamente a se stesso, come con gli orologi, il cui meccanismo troppo complicato si guasta). Guardiamoli correre giulivi per il bosco, con uno che semina chili di tracce! Ricordano veramente, per leziosità, i coniglietti di dubbia virilità di Tex Avery. Nonostante il discorso di Edward G. Robinson sulla gente semplice che non può più essere ingannata, ne Lo straniero Welles non mostra davvero una grande opinione della massa.
Questo film che Welles ingiustamente non amava sprizza un delizioso humour noir. Si pensi alla scena blasfema dell’assassinio mentre Kindler e Meinike, un nazista evaso, pregano assieme, scena che del resto viene dopo uno dei più esilaranti scherzi sulla divinità che il cinema ci abbia mai dato (la rivelazione dell’autorità cui Meinike obbedisce). O a Kindler che - tedesco nell’anima! - si prepara i suoi appunti per il delitto, da buon professore prima della lezione.
Consapevolissimi eccessi, angolazioni ancora più audaci del solito, giochi espressionistici di ombre, e un grande finale barocco (“Dick Tracy”, fumettistico, diceva Welles): un delirio, l’unico modo possibile per girare questo film giocato fra la dismisura della narrazione e il titanismo wellesiano. Ma il tema wellesiano principale che congiunge questo film alla sua filmografia è che si tratta di un’altra sfaccettatura del falso; mundus vult decipi; Welles è sempre il prestigiatore.

(Citizen Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)

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