Mizoguchi Kenji
L’intendente
Sansho – Leone d’argento alla Mostra di Venezia 1954 - è uno
dei capolavori assoluti di Mizoguchi, tratto da una novella di Mori
Ogai del 1915. I vari cambiamenti di nome nel corso del film (due
nomi per la madre, due per Anju, addirittura tre per Zushio), pur non
essendo affatto anomali per la cultura giapponese, segnalano
simbolicamente quella mutevolezza continua e mercuriale del destino
che è uno dei motivi base del cinema di Mizoguchi. Al centro del
film c’è il concetto di misericordia, e lo materializza
fisicamente la statuetta di Kwannon, dea della misericordia, che non
a caso per ben due volte nel film ha il ruolo di rendere possibile
un’agnizione. E proprio nell’opposizione fra pietà e mancanza di
pietà si costruisce il film, attraverso lo sdoppiamento tra due
figure paterne per il protagonista Zushio: il vero padre scomparso e
il suo crudele padrone Sansho, col quale egli arriva a identificarsi,
come sottolineano nella composizione dell’inquadratura le due scene
della marchiatura a fuoco. Anche qui, il ruolo delle donne è di
portatrici della pietà e della ragione; e anche qui si riproduce –
con la storia di Anju, ma anche coi tentativi della madre di fuggire
– il tema centrale del sacrificio femminile. Peraltro non si trova
mai, in Mizoguchi, un ottimismo moralistico: basta vedere la sequenza
della festa orgiastica degli schiavi liberati nell’ex casa di
Sansho, che potrebbe richiamare alla mente il buñueliano Viridiana.
La fotografia di Miyagawa Kazuo raggiunge in questo film uno dei
punti più alti toccati dal grande collaboratore di Mizoguchi, e la
stessa eccellenza va riconosciuta alla colonna sonora, con la score
musicale di Hayasaka Fumio e il suo abile gioco fra oggettivo e
soggettivo. Secondo le memorie di Yoda, Mizoguchi avrebbe desiderato
realizzare il film in Cinemascope, formato che aveva conosciuto
durante il suo viaggio a Venezia per la presentazione de I
racconti della luna pallida d’agosto alla Mostra del Cinema.
(Mizoguchi
Kenji. Un'implacabile perfezione, a cura di Cecilia Collaoni e
Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2007)
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