Mizoguchi Kenji
La
Cina del VIII secolo della dinastia Tang fa da sfondo al primo dramma
in costume girato a colori da Mizoguchi, prodotto dalla Daiei con la
Shaw Brothers di Hong Kong. Benché Yoda nelle sue memorie accenni al
poco interesse di Mizoguchi per il colore, i suoi soli due film a
colori (apprezzati più in Occidente che in Giappone) sono di una
bellezza rimarchevole. Per L’imperatrice Yang Kwei-fei Mizoguchi
assieme ai suoi collaboratori sceglie tonalità pastello, variazioni
sui colori primari, che però acquistano grande profondità e
cupezza. In questo film come nel successivo Shin Heike Monogatari,
Mizoguchi adotta negli esterni uno stile quasi flamboyant,
diffondendosi in vignette di popolo (la sequenza della festa) che
sembrano una novità nel suo cinema; peraltro, accanto a questo senso
di profusione resta quell’elemento di condensazione rigorosa
dell’immagine che conosciamo. Le scenografie curate da Mizutani
Hiroshi sono irreali; il regista crea un mondo che non ha a che
vedere con la realtà storica, anzi accentua il carattere di
diversità e astrazione rispetto a questa (dove poi la vera Yang
Kwei-fei era una figura ben differente). Mizoguchi e Yoda la
trasformano in una ragazza semplice, trattata come una Cenerentola
dalle sorelle; pongono un legame stretto fra lei e il mondo popolare,
di cui si fa tramite presso il monarca che esclama: “Dimentico che
sono imperatore, mi sembra di essere un uomo del popolo”. Non
dimentichiamo che il protagonista è in primo luogo un artista (la
sua noia verso gli affari di Stato è espressa all’inizio del
film): la sua verità interiore sta nella musica e non nei riti del
potere.
Yang
Kwei-fei e il sovrano sono esseri vibranti di sentimenti e di
passioni, e insieme sembrano aleggiare distanti, silenziosi, puri
fantasmi. Nella conclusione le stanze imperiali sono devastate dal
tempo, polverose, piene di foglie morte, ma in esse risuona ancora
quel dialogo della coppia appena riunitasi nella morte che appartiene
al presente narrativo del film; un collegamento fra l’adesso delle
voci e il dopo dell’immagine che è anche un’elegia del tempo,
come se l’amore risuonasse in quelle stanze ancora molto dopo la
scomparsa dei due. Proprio come ne I racconti della luna pallida
d’agosto i vivi e i morti (e il tempo dei vivi e il tempo dei
morti) coesistono sullo stesso piano.
(Mizoguchi
Kenji. Un'implacabile perfezione, a cura di Cecilia Collaoni e
Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2007)
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