Orson Welles
Il
famoso piano sequenza iniziale fa incrociare tre volte la coppia
degli sposi Vargas/Charlton Heston e Susan/Janet Leigh con l’auto
dell’industriale dov’è piazzata la bomba: ovvero, nel piano
sequenza si realizza quell’incrocio del destino che muove la
macchina del racconto, giacché produce l’incontro di Vargas e di
Quinlan, e conseguentemente tutti gli altri. D’altra parte il film,
accanto alla figura shakespeariana di Quinlan/Welles e alla tragedia
del tradimento, ha per tema l’incrocio, l’incrociarsi, il
traversare la frontiera, the crossing in tutti i sensi:
la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti ne è simbolo, già
evidenziato nel piano sequenza iniziale: Tijuana è una città divisa
in due da una linea invisibile (da questa città squallida Welles
trae visioni di grande e disperata bellezza).
Seguono
le due grandi scene in montaggio parallelo (nella versione
restaurata), dove il loro interlinearsi, oltre a rendere più fluido
il racconto, in qualche misura fa da contrappeso al piano sequenza
precedente. Queste scene dividono l’unità di marito e moglie del
piano sequenza; ora la coppia è separata, e con una specie di
chiasmo i due si invertono geograficamente, l’americana nella zona
messicana e viceversa, entrambi trovandosi in una situazione di
disagio razziale e di passività.
Il
tema del crossing si riflette nel matrimonio fra il messicano
Vargas e l’americana Susan. L’odio di Quinlan per i messicani è
sottolineato pesantemente nella battuta che la moglie di Vargas non
sembra neanche messicana, un modo per far rilevare che è “bianca”;
più tardi la pesante allusione di Quinlan sul fatto che la moglie di
Vargas si è fatta abbordare sottende la sua convinzione che sia una
donna facile perché ha sposato un messicano. Tutto ciò dà voce a
quel concetto di miscegenation che attraversa il film -
presente sia nel matrimonio di Susan con Vargas, sia nella scena di
Susan con Zio Grande/Akim Tamiroff, figura buffa (il parrucchino, il
sigaro comicamente fallico, assolutamente privo dell’imperiosità
di quello di Quinlan/Welles) ma anche viscida e perversa (quel modo
di leccarsi le labbra dopo l’incontro con la donna), sia nello
stupro (suggerito, lasciato nell’imprecisione) da parte dei
teppisti al motel. E anche nel razzismo inconscio di Susan che
ribattezza sarcasticamente Pancho il giovane teppista dei Grande (del
che lui si lagna subito con lo Zio).
L’insistenza
di Susan per un motel vicino alla frontiera americana è un volersi
ritrarre dal Messico, che fa pensare anche al suo matrimonio. E’
presente l’equazione a livello inconscio fra il Messico e la
sessualità - lei è la fredda vergine bionda americana - e non
sarebbe azzardato vedere nel laborioso stupro simulato che sperimenta
nel film un’iniziazione alla sua sessualità anche nel rapporto col
marito. Quando Susan fugge in sottoveste per la scala antincendio,
applaudita dalla folla di messicani e americani che la prendono per
una puttana, è la massima exposure; per la vergine americana
tutta questa avventura è la vera perdita della verginità - in un
film pieno di vetrate, di finestre, un film dove molto del privato si
vede, si spia, diventa pubblico.. Forse c’è più dell’insulto
nell’osservazione di Quinlan che lei si è fatta abbordare: la
sessualità come attrazione e ripulsione insieme.
Anche
Vargas, il diplomatico, si è americanizzato come comportamento
maritale (ha senso che solo nell’esplosione al Rancho Grande torni
volutamente allo spagnolo: “mi esposa”); e se è così
quella frontiera che è il grande tema del film passa anche dentro di
lui. E analogamente, quando per sconfiggere Quinlan deve far ricorso
a mezzi che gli ripugnano, Vargas passa una frontiera morale.
(Citizen
Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)
Nessun commento:
Posta un commento