lunedì 29 settembre 2014

L'infernale Quinlan

Orson Welles
Il famoso piano sequenza iniziale fa incrociare tre volte la coppia degli sposi Vargas/Charlton Heston e Susan/Janet Leigh con l’auto dell’industriale dov’è piazzata la bomba: ovvero, nel piano sequenza si realizza quell’incrocio del destino che muove la macchina del racconto, giacché produce l’incontro di Vargas e di Quinlan, e conseguentemente tutti gli altri. D’altra parte il film, accanto alla figura shakespeariana di Quinlan/Welles e alla tragedia del tradimento, ha per tema l’incrocio, l’incrociarsi, il traversare la frontiera, the crossing in tutti i sensi: la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti ne è simbolo, già evidenziato nel piano sequenza iniziale: Tijuana è una città divisa in due da una linea invisibile (da questa città squallida Welles trae visioni di grande e disperata bellezza).
Seguono le due grandi scene in montaggio parallelo (nella versione restaurata), dove il loro interlinearsi, oltre a rendere più fluido il racconto, in qualche misura fa da contrappeso al piano sequenza precedente. Queste scene dividono l’unità di marito e moglie del piano sequenza; ora la coppia è separata, e con una specie di chiasmo i due si invertono geograficamente, l’americana nella zona messicana e viceversa, entrambi trovandosi in una situazione di disagio razziale e di passività.
Il tema del crossing si riflette nel matrimonio fra il messicano Vargas e l’americana Susan. L’odio di Quinlan per i messicani è sottolineato pesantemente nella battuta che la moglie di Vargas non sembra neanche messicana, un modo per far rilevare che è “bianca”; più tardi la pesante allusione di Quinlan sul fatto che la moglie di Vargas si è fatta abbordare sottende la sua convinzione che sia una donna facile perché ha sposato un messicano. Tutto ciò dà voce a quel concetto di miscegenation che attraversa il film - presente sia nel matrimonio di Susan con Vargas, sia nella scena di Susan con Zio Grande/Akim Tamiroff, figura buffa (il parrucchino, il sigaro comicamente fallico, assolutamente privo dell’imperiosità di quello di Quinlan/Welles) ma anche viscida e perversa (quel modo di leccarsi le labbra dopo l’incontro con la donna), sia nello stupro (suggerito, lasciato nell’imprecisione) da parte dei teppisti al motel. E anche nel razzismo inconscio di Susan che ribattezza sarcasticamente Pancho il giovane teppista dei Grande (del che lui si lagna subito con lo Zio).
L’insistenza di Susan per un motel vicino alla frontiera americana è un volersi ritrarre dal Messico, che fa pensare anche al suo matrimonio. E’ presente l’equazione a livello inconscio fra il Messico e la sessualità - lei è la fredda vergine bionda americana - e non sarebbe azzardato vedere nel laborioso stupro simulato che sperimenta nel film un’iniziazione alla sua sessualità anche nel rapporto col marito. Quando Susan fugge in sottoveste per la scala antincendio, applaudita dalla folla di messicani e americani che la prendono per una puttana, è la massima exposure; per la vergine americana tutta questa avventura è la vera perdita della verginità - in un film pieno di vetrate, di finestre, un film dove molto del privato si vede, si spia, diventa pubblico.. Forse c’è più dell’insulto nell’osservazione di Quinlan che lei si è fatta abbordare: la sessualità come attrazione e ripulsione insieme.
Anche Vargas, il diplomatico, si è americanizzato come comportamento maritale (ha senso che solo nell’esplosione al Rancho Grande torni volutamente allo spagnolo: “mi esposa”); e se è così quella frontiera che è il grande tema del film passa anche dentro di lui. E analogamente, quando per sconfiggere Quinlan deve far ricorso a mezzi che gli ripugnano, Vargas passa una frontiera morale.

(Citizen Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)

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