Un
po' indeciso ma senz'altro piacevole, Molière in bicicletta di
Philippe Le Guay è uno di quei film francesi di buon artigianato che
si reggono su eccellenti prove d'attore - in questo caso, Fabrice
Luchini (Serge) e Lambert Wilson (Gauthier).
Quest'ultimo
nel racconto è un attore di grande successo grazie a un brutto
telefilm di cui si vergogna (Le Guay sfodera tutto il suo gusto
parodistico quando ce ne mostra l'orrida sigla d'apertura e un paio
di scene). Va a trovare il vecchio collega e amico Serge, il quale
dopo una depressione si è ritirato e vive in campagna, dipingendo
brutti quadri in una casa maleodorante (la fossa biologica è da
riparare). La proposta: mettere in scena a teatro Il misantropo di
Molière. Come Laurence Olivier e John Gielgud in un famoso Romeo
e Giulietta, Gauthier e Serge si alterneranno nelle due parti
principali: Alceste, lo scorbutico moralista che condanna tutto il
mondo, e Filinte, il suo amico che sostiene che bisogna fare dei
compromessi per la convivenza sociale.
Molière
gioca la commedia su questo scontro di caratteri, e la pone in
maniera aperta (ha ragione Filinte: “La virtù perfetta fugge ogni
estremo”); ma Le Guay (anche sceneggiatore) è tutto per Alceste, e
su questo imposta il film. Sì, perché lo spettatore si accorge
subito che, in un gioco di specchi, Serge e Gauthier sono
essi stessi Alceste e Filinte. Anche dei fatti biografici rafforzano
l'analogia (c'è una causa perduta senza difendersi, per spregio, sia
da Alceste sia da Serge). “Non concedi niente, tu, eh?”, detto da
Gauthier a Serge, si potrebbe dire altrettanto bene ad Alceste.
Così,
vediamo i due replicare “in abisso” i loro caratteri e il loro
rapporto col mondo mentre provano la parte (e mentre litigano come
bambini), in un contrasto fra l'integrità che rischia di
trasformarsi in irascibilità autocompiaciuta e la flessibilità che
rischia di trasformarsi in interesse ipocrita.
E'
uno splendido tocco di sceneggiatura quando questo dibattito viene
trasferito persino sul piano del modo di recitare gli alessandrini di
Molière: Serge difende irosamente la recitazione filologica,
Gauthier è disposto a venire incontro al gusto del pubblico
contemporaneo. Non mancano notazioni psicologiche assai belle. Per
esempio, quando tocca a Gauthier di recitare Alceste nelle prove, lui
lo fa assai meglio dopo che una rissa al mercato ha portato via una
buona porzione della sua soddisfazione di sé. Oppure, è proprio
degna di Alceste l'idea di Serge di farsi vasectomizzare per non
rischiare di mettere al mondo altri uomini (anche se all'ultimo
momento gli viene freddo ai piedi).
La
prevedibile conclusione... no, ferma: giacché chi scrive è
piuttosto Filinte che Alceste, si pianta qui il cartello “Attenzione,
spoiler”, laddove Alceste tirerebbe dritto... la prevedibile
conclusione è che la commedia andrà in scena col solo Gauthier, con
un altro partner. Serge, con una sciarpa bianca al collo che ricorda
lo jabot del costume di scena, recita i versi misantropici di
Alceste da solo sulla spiaggia in riva al mare. Come per Alceste alla
fine della commedia, la solitudine è insieme il suo destino e la sua
scelta; ma per Serge è una vittoria morale.
Philippe
Le Guay però non ha né la nettezza né il coraggio di Roman
Polanski (Venere in pelliccia) nel mantenere tutto il film sul
fascino della prova teatrale, sul gioco di caratteri, sulla mise
en abyme. Così immette nel film molti riempitivi (la ricerca
della casa da comprare, la figura del tassista, i piccoli incidenti
come la doppia caduta in acqua). Inserisce il personaggio
dell'italiana Francesca (Maya Sansa, la cui recitazione appare
inadeguata), un personaggio che in pratica ha la funzione soltanto di
rotella del plot: serve a far litigare i due. Prepara accuratamente
il personaggio della giovane Zoé (Laurie Bordesoules), pornostar in
erba che sbalordisce i due quando recita una scena del Misantropo
nel ruolo di Celimene - e poi parte per Bucarest e scompare dal film.
Che cosa voleva dirci Le Guay? Che anche una pornodiva può saper
recitare? Che è un peccato perché il teatro è “più cultura”
del cinema porno? L'episodio resta sospeso in aria nella nebbia di
una vaga disapprovazione morale.
In
ogni modo, la naturalezza, la convinzione, la sincera intensità di
questi due magnifici attori francesi vale ampiamente il prezzo del
biglietto; e più in generale Molière in bicicletta è un
film intelligente, dal quale si esce rinfrescati - e in un mood
meditativo, come no.
3 commenti:
In realtà, stranamente, Le Guay ha dichiarato di riconoscersi di più, nella vita, nell'estroverso Gauthier.
Per la serie meglio tardi che mai, Giorgio, devo da tempo complimentarmi con lei: la sua lezione su Hitchcock pochi anni fa, per noi "ragazzi" di Mediacritica, è stata un vero e proprio capolavoro di umorismo, didattica, eleganza e, ovviamente, di critica! :)
Grazie (blush!) caro Francesco. E' molto interessante quello che mi dice sulla dichiarazione di Le Guay - ma allora, credo sia da vederci una frattura fra simpatia e ideologia, perché certo questa maggiore propensione verso Gauthier non emerge dal film; dove la scena pre-finale di Serge in costume alla festa è la classica scena di "presa di coscienza" che non mancava mai nel vecchio cinema italiano...
Posta un commento