mercoledì 14 agosto 2013

Lawless

John Hillcoat

John Hillcoat è sempre stato attratto da due temi correlati: la violenza come guerra di tutti contro tutti e il mondo dei fuorilegge e degli outcast. Lo si vede fin dal suo primo (e forse miglior) lungometraggio, Ghosts... of the Civil Dead, ambientato in un penitenziario americano. In seguito Hillcoat ha declinato questi elementi nell'intelligente adattamento per lo schermo del romanzo post-apocalittico The Road di Cormac McCarthy, su un mondo in cui la civiltà è crollata; mi spiace di non conoscere il suo “western australiano” La proposta, che però è coerente con gli altri film.
Fin dal titolo Lawless, scritto dal compagno di sempre Nick Cave, riprende questa tematica. Ambientato fra i bianchi poveri della Virginia nel 1931, è una truce epopea dei bootleggers (i distillatori clandestini al tempo del Proibizionismo). Ovvero, il controcampo rurale dei film urbani di gangster, che qui fanno capolino attraverso il personaggio di Floyd Banner (Gary Oldman). Il film, tratto da una storia vera, racconta dei tre fratelli Bondurant - che una leggenda locale vuole indistruttibili - e della loro guerra contro il “vicesceriffo” Rakes (le virgolette sono opportune perché si tratta di una figura crudele e corrotta da far impallidire tutti i poliziotti corrotti del cinema americano).
Come un cantastorie Hillcoat alterna il tono epico negli scontri di estrema violenza (c'è qualcosa di Peckinpah in lui) e quello asciuttamente confidenziale nel descrivere i rapporti fra i tre fratelli, in particolare il maggiore, l'irriducibile Forrest (Tom Hardy), e il più piccolo, l'ambizioso Jack (un eccellente Shia LaBoeuf). E le loro donne: se Jessica Chastain tratteggia con dignità una figura non inedita (l'ex ballerina indurita in fuga dalla città), Mia Wasikowska nei panni di Bertha, la figlia celatamente ribelle del pastore, offre un'interpretazione vibrante, da ricordare fin dall'immagine fisica, che fa pensare a Vermeer.
Hillcoat “sente” il mondo di cui parla, mostra un'attenzione solida ai volti, ai dettagli (la festa funebre dei negri), alla messa in scena (grande la sequenza della funzione religiosa cui si introduce Jack solo per vedere Bertha). Emerge convincente il quadro di un'epoca forte e primitiva; un'epoca in cui un uomo per bene poteva sfasciare la faccia a un altro col tirapugni ma si toglieva il cappello se doveva parlare a una signora. Un paio di particolari tendono a un simbolismo un po' pesante (due galli che si battono dopo la scena in cui Jack si ribella al fratello maggiore; cavalli che corrono liberi quando Jack per la prima volta porta la sua ragazza a fare un giro sull'auto nuova); ma sono tenuti sotto controllo e presto riassorbiti nella narrazione.
Guy Pierce interpreta Rakes con una sorta di gusto iperrealista, con un'accurata odiosità, tale che il personaggio risulta un po' programmatico; poco male, se non fosse che questa accentuazione crea un contrasto con gli altri personaggi (compreso il gangster Banner, cui Gary Oldman presta una misura di ferocia e di concretezza quotidiana che lo rende molto verosimile). E' un contrasto che Hillcoat voleva evidentemente costruire, a partire dall'aspetto fisico di elegantone col farfallino, ma si ha l'impressione che gli sfugga un po' di mano.
Il film ha un epilogo nel 1940: l'era del Proibizionismo è solo un ricordo. “Quei tempi ormai sono andati”, dice la voce narrante di Jack. C'è sempre nella narrativa americana questa sfumatura nostalgica che è la ricerca del passato: che non è solo ricordo delle battaglie della giovinezza, un “meminisse iuvabit”, come sarebbe per gli europei; è l'eco di un mito di innocenza e di fondazione, pur nel dolore e nel sangue, che è iscritto nel DNA del pensiero americano. E' il suo fondo anarchico a fondare lo spirito western che attraversa il film: quando i potenti corrotti impongono la regola del pizzo ai bootleggers, l'unico a ribellarsi è Forrest: “Io sono un Bondurant e noi non ci pieghiamo davanti a nessuno”. Lawless è un film southern (connotato sul piano visivo dall'emblema stesso del Sud rurale: lo Spanish moss che pende dagli alberi), però cinema e letteratura ci insegnano che fra southern e western si possono gettare molti ponti. Ma è, il suo, uno spirito western nero e doloroso, intriso della disperazione ch'è figlia della Grande Guerra.
La fine del film, nel 1940, ci fornisce la notizia di vari matrimoni e una grande riunione rievocativa, come in Dickens. “Quei tempi ormai sono andati”. Ma se pensiamo all'anno in cui Jack ci sta parlando, il suo “Diavolo... non succede mai niente da queste parti”, che conclude il film, avrà presto una tragica smentita; tragica, e destinata a cancellare quel mondo contadino poverissimo e primitivo fra le due guerre, di cui Lawless è una dolente ma a suo modo nostalgica rievocazione.

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