John
Hillcoat è sempre stato attratto da due temi correlati: la violenza
come guerra di tutti contro tutti e il mondo dei fuorilegge e degli
outcast. Lo si vede fin dal suo primo (e forse miglior)
lungometraggio, Ghosts... of the Civil Dead, ambientato in un
penitenziario americano. In seguito Hillcoat ha declinato questi
elementi nell'intelligente adattamento per lo schermo del romanzo
post-apocalittico The Road di Cormac McCarthy,
su un mondo in cui la civiltà è crollata; mi spiace di non
conoscere il suo “western
australiano” La proposta,
che però è coerente con gli altri film.
Fin
dal titolo Lawless, scritto dal compagno di sempre Nick
Cave, riprende questa tematica. Ambientato fra i bianchi poveri
della Virginia nel 1931, è una truce epopea dei bootleggers
(i distillatori clandestini al tempo del Proibizionismo). Ovvero, il
controcampo rurale dei film urbani di gangster, che qui fanno
capolino attraverso il personaggio di Floyd Banner (Gary Oldman). Il
film, tratto da una storia vera, racconta dei tre fratelli Bondurant
- che una leggenda locale vuole indistruttibili - e della loro guerra
contro il “vicesceriffo” Rakes (le virgolette sono opportune
perché si tratta di una figura crudele e corrotta da far impallidire
tutti i poliziotti corrotti del cinema americano).
Come
un cantastorie Hillcoat alterna il tono epico negli scontri di
estrema violenza (c'è qualcosa di Peckinpah in lui) e quello
asciuttamente confidenziale nel descrivere i rapporti fra i tre
fratelli, in particolare il maggiore, l'irriducibile Forrest (Tom
Hardy), e il più piccolo, l'ambizioso Jack (un eccellente Shia
LaBoeuf). E le loro donne: se Jessica Chastain tratteggia con dignità
una figura non inedita (l'ex ballerina indurita in fuga dalla città),
Mia Wasikowska nei panni di Bertha, la figlia celatamente ribelle del
pastore, offre un'interpretazione vibrante, da ricordare fin
dall'immagine fisica, che fa pensare a Vermeer.
Hillcoat
“sente” il mondo di cui parla, mostra un'attenzione solida ai
volti, ai dettagli (la festa funebre dei negri), alla messa in scena
(grande la sequenza della funzione religiosa cui si introduce Jack
solo per vedere Bertha). Emerge convincente il quadro di un'epoca
forte e primitiva; un'epoca in cui un uomo per bene poteva sfasciare
la faccia a un altro col tirapugni ma si toglieva il cappello se
doveva parlare a una signora. Un paio di particolari tendono a un
simbolismo un po' pesante (due galli che si battono dopo la scena in
cui Jack si ribella al fratello maggiore; cavalli che corrono liberi
quando Jack per la prima volta porta la sua ragazza a fare un giro
sull'auto nuova); ma sono tenuti sotto controllo e presto riassorbiti
nella narrazione.
Guy
Pierce interpreta Rakes con una sorta di gusto iperrealista, con
un'accurata odiosità, tale che il personaggio risulta un po'
programmatico; poco male, se non fosse che questa accentuazione crea
un contrasto con gli altri personaggi (compreso il gangster Banner,
cui Gary Oldman presta una misura di ferocia e di concretezza
quotidiana che lo rende molto verosimile). E' un contrasto che
Hillcoat voleva evidentemente costruire, a partire dall'aspetto
fisico di elegantone col farfallino, ma si ha l'impressione che gli
sfugga un po' di mano.
Il
film ha un epilogo nel 1940: l'era del Proibizionismo è solo un
ricordo. “Quei tempi ormai sono andati”, dice la voce narrante di
Jack. C'è sempre nella narrativa americana questa sfumatura
nostalgica che è la ricerca del passato: che non è solo ricordo
delle battaglie della giovinezza, un “meminisse iuvabit”,
come sarebbe per gli europei; è l'eco di un mito di innocenza e di
fondazione, pur nel dolore e nel sangue, che è iscritto nel DNA del
pensiero americano. E' il suo fondo anarchico a fondare lo spirito
western che attraversa il film: quando i potenti corrotti impongono
la regola del pizzo ai bootleggers, l'unico a ribellarsi è
Forrest: “Io sono un Bondurant e noi non ci pieghiamo davanti a
nessuno”. Lawless
è un film southern
(connotato sul piano visivo dall'emblema stesso del Sud
rurale: lo Spanish moss che pende dagli alberi), però cinema
e letteratura ci insegnano che fra southern e western si
possono gettare molti ponti. Ma è, il suo, uno spirito western nero
e doloroso, intriso della disperazione ch'è figlia della Grande
Guerra.
La
fine del film, nel 1940, ci fornisce la notizia di vari matrimoni e
una grande riunione rievocativa, come in Dickens. “Quei tempi ormai
sono andati”. Ma se pensiamo all'anno in cui Jack ci sta parlando,
il suo “Diavolo... non succede mai niente da queste parti”, che
conclude il film, avrà presto una tragica smentita; tragica, e
destinata a cancellare quel mondo contadino poverissimo e primitivo
fra le due guerre, di cui Lawless è una dolente ma a suo modo
nostalgica rievocazione.
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