Una
pagina di Kubrick sembra particolarmente adatta per comprendere Fear
and Desire, il suo primo lungometraggio, del 1953, poi rifiutato
e nascosto (era già reperibile in dvd e ora è uscito nelle sale).
E' in 2001: Odissea nello spazio ed
è l'ellissi più famosa della storia del cinema.
L'uomo-scimmia ha appena ucciso il suo avversario con l'osso che è
diventato la prima arma; in un'estasi feroce
lancia l'osso in aria e il suo volo disegna un movimento ascendente
che si conclude con la stazione spaziale in orbita. Il tratto di
tempo messo in ellissi (dalla preistoria al futuro) comprende
l'intera storia della civilizzazione umana. Ovvero:
tutto è nato dalla prima arma.
Quell'ellissi
famosa è il manifesto del pessimismo radicale di Kubrick - che si
ritrova già in questo suo primo, acerbo lungometraggio, storia di
tre soldati che si ritrovano dietro le linee nemiche e devono tornare
alla base. Il concetto di uno stato di guerra eterna e atemporale
dell'essere umano è espresso fin dall'introduzione in voce over: la
guerra che vediamo, dice, non è una guerra in particolare, è
“qualunque guerra”. Più oltre un personaggio, il tenente,
rifletterà che non è più vero che “nessun uomo è un'isola”,
ora lo siamo tutti.
I
soldati progettano dapprima di costruire una zattera per seguire il
fiume; prendono prigioniera una ragazza ma non sanno cosa farne; poi
progettano di rubare un aereo e uccidere un generale nemico in una
casa vicina (ricordiamo che di progetti e progettatori falliti sarà
pieno il cinema di Kubrick). Ora, questo generale nemico e il suo
aiutante di campo - che passano le ore l'uno filosofeggiando e
l'altro bevendo - hanno lo stesso volto dei due soldati che vanno a
ucciderli e sono interpretati dai medesimi attori. Il concetto è:
l'uomo fa la guerra contro se stesso.
Anche
al di là di questa invenzione piuttosto ingenua nella sua
programmaticità, la guerra in Fear and Desire assume un
aspetto metafisico e kafkiano. Tutta l'azione, sotto il realismo
apparente, si svolge in una dimensione come sospesa, vagamente
onirica. Con un'intuizione davvero geniale, Enrico Ghezzi già nel
1977 (nella prima edizione del suo Stanley Kubrick) collegava
il film all'onirismo di
Doppio sogno (Traumnovelle) di Schnitzler, eterno
progetto cinematografico di Kubrick, che lo realizzerà solo molti
anni dopo con Eyes Wide Shut.
Il
film è attraversato ossessivamente dalle voci over dello stream
of consciousness dei soldati (distinto dalla voce
impersonale dell'apertura); questa, come è stato
giustamente osservato, è un'interessante anticipazione del cinema di
Terrence Malick, che peraltro lo impiega con tutt'altra maestria.
Molti particolari segnalano l'astrazione. Cosa ci fa una grande carta
dell'Africa nel quartier generale del generale nemico? Non è irreale
l'attacco alla casa, coi pochi soldati di guardia facilmente attratti
da alcuni spari di diversione, mentre non ci sono sottufficiali e il
generale e il suo aiutante restano seduti all'interno? Inoltre i
protagonisti si rendono conto di avere sparato a dei loro sosia (il
tenente lancia uno sguardo di realizzazione incuriosita al cadavere
del generale morto) ma sembrano prenderla per una cosa normale.
Sarebbe
perfino possibile l'ipotesi, visto il carattere metafisico del film,
che in realtà i quattro personaggi siano già morti e
sognino di combattere. Nel finale, mentre due di loro aspettano il sergente nella nebbia: "Pensa che tornerà?" - "Non lo so. Non sono sicuro neanche che siamo tornati noi". E poco più tardi: “Penso di non
essere adatto per questo” - “Nessuno lo è. E' uno stratagemma
che usiamo quando non vorremmo morire subito”. E' vero che nel film
il sergente viene ferito e sembra morire; ma è anche vero che aveva
espresso proprio il desiderio di morire in precedenza.
In
Fear and Desire si ritrovano
riconoscibilissime anticipazioni del Kubrick futuro. La scena in cui
i quattro soldati attaccano dei nemici in una capanna per
impadronirsi dei loro fucili mostra già quella capacità di mettere
in scena la violenza totale e assoluta che è una delle
caratteristiche della sua opera. E' già molto kubrickiano lo sguardo
satirico sulle pretese di civiltà: “Cerchiamo di rimanere
civilizzati”, ripete il sergente che è il guerriero più feroce di
tutti. Questo ricorda Il dottor Stranamore,
come pure altri particolari del film (dal cane nominato tenente alla
brevità semiseria del briefing
finale). La scena della prigioniera legata che lecca l'acqua dalla
mano del soldato possiede un erotismo disturbante che fa pensare alle
fantasie di Arancia meccanica.
Quella specie di girare in tondo dei soldati, con la boscaglia che si
trasforma in uno spazio concentrazionario, anticipa l'ossessione
labirintica di tutto il cinena di Kubrick. Una soggettiva impossibile della
donna morta anticipa quel barocchismo che pure è uno dei tratti
della sua opera. Perfino quel flusso di pensiero dei personaggi
(qui assolutamente disastroso) crea un cortocircuito, richiama alla
memoria una pagina di Full Metal Jacket,
quando il classico stilema kubrickiano del carrello indietro rivela i
morti della fossa comune, sulla voce over del pensiero del
personaggio (Joker): “Morti coperti di calce viva. I morti sanno
una cosa sola... che è meglio restare vivi”.
La
bella fotografia è di Kubrick stesso (non dimentichiamo che lui
veniva dal lavoro di fotoreporter): testo a parte, le scene della
zattera sul fiume sono eccellenti. Ma perché il regista
rinnegò il film? A prescindere dal suo simbolismo alquanto pesante,
Fear and Desire soffre di un
difetto fondamentale e paralizzante: una sceneggiatura, del poeta
Howard Sackler, che non è esagerato definire disdicevole. Il
suo linguaggio aspira a un tono “alto”, lirico-filosofico,
infarcito di frasi ingenuamente estetizzanti che che ricordano il “Mi
fanno male i capelli” di antonioniana memoria. Collegata a questo
difetto basilare è la recitazione disastrosa del futuro regista Paul
Mazursky nel ruolo del giovane soldato traumatizzato che cerca
goffamente di sedurre la prigioniera, la uccide quando lei cerca di
scappare, e impazzisce. La pagina in cui cerca di far ridere la
ragazza legata imitando il generale, e quella in cui delira dopo
l'omicidio, sono imbarazzanti a vedersi. Kubrick letteralmente pianse
sentendo le risate a un'anteprima. Ma siamo onesti, recitando un
testo simile perfino Sir John Gielgud sarebbe risultato ridicolo.
Non
fa meraviglia che Kubrick, regista famoso in futuro per il suo
perfezionismo, non voleva che questo film fosse proiettato. Vederlo
oggi è una strana esperienza. Vi riconosciamo aspetti e procedimenti
kubrickiani - ma “allo stato bruto” (come scrive Michel Chion nel
suo splendido libro sul maestro). Stupefacente
è che già nel 1955 Kubrick firmasse un film - Il bacio
dell'assassino - che si
inserisce a pieno titolo, anche estetico, nella sua filmografia. Se
Fear and Desire era
risultato, nelle parole di Kubrick stesso, “un tentativo serio
fatto in modo inetto”, con Il bacio dell'assassino
comincia davvero la sua
carriera.
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