venerdì 2 agosto 2013

Fear and Desire

Stanley Kubrick

Una pagina di Kubrick sembra particolarmente adatta per comprendere Fear and Desire, il suo primo lungometraggio, del 1953, poi rifiutato e nascosto (era già reperibile in dvd e ora è uscito nelle sale). E' in 2001: Odissea nello spazio ed è l'ellissi più famosa della storia del cinema. L'uomo-scimmia ha appena ucciso il suo avversario con l'osso che è diventato la prima arma; in un'estasi feroce lancia l'osso in aria e il suo volo disegna un movimento ascendente che si conclude con la stazione spaziale in orbita. Il tratto di tempo messo in ellissi (dalla preistoria al futuro) comprende l'intera storia della civilizzazione umana. Ovvero: tutto è nato dalla prima arma.
Quell'ellissi famosa è il manifesto del pessimismo radicale di Kubrick - che si ritrova già in questo suo primo, acerbo lungometraggio, storia di tre soldati che si ritrovano dietro le linee nemiche e devono tornare alla base. Il concetto di uno stato di guerra eterna e atemporale dell'essere umano è espresso fin dall'introduzione in voce over: la guerra che vediamo, dice, non è una guerra in particolare, è “qualunque guerra”. Più oltre un personaggio, il tenente, rifletterà che non è più vero che “nessun uomo è un'isola”, ora lo siamo tutti.
I soldati progettano dapprima di costruire una zattera per seguire il fiume; prendono prigioniera una ragazza ma non sanno cosa farne; poi progettano di rubare un aereo e uccidere un generale nemico in una casa vicina (ricordiamo che di progetti e progettatori falliti sarà pieno il cinema di Kubrick). Ora, questo generale nemico e il suo aiutante di campo - che passano le ore l'uno filosofeggiando e l'altro bevendo - hanno lo stesso volto dei due soldati che vanno a ucciderli e sono interpretati dai medesimi attori. Il concetto è: l'uomo fa la guerra contro se stesso.
Anche al di là di questa invenzione piuttosto ingenua nella sua programmaticità, la guerra in Fear and Desire assume un aspetto metafisico e kafkiano. Tutta l'azione, sotto il realismo apparente, si svolge in una dimensione come sospesa, vagamente onirica. Con un'intuizione davvero geniale, Enrico Ghezzi già nel 1977 (nella prima edizione del suo Stanley Kubrick) collegava il film all'onirismo di Doppio sogno (Traumnovelle) di Schnitzler, eterno progetto cinematografico di Kubrick, che lo realizzerà solo molti anni dopo con Eyes Wide Shut.
Il film è attraversato ossessivamente dalle voci over dello stream of consciousness dei soldati (distinto dalla voce impersonale dell'apertura); questa, come è stato giustamente osservato, è un'interessante anticipazione del cinema di Terrence Malick, che peraltro lo impiega con tutt'altra maestria. Molti particolari segnalano l'astrazione. Cosa ci fa una grande carta dell'Africa nel quartier generale del generale nemico? Non è irreale l'attacco alla casa, coi pochi soldati di guardia facilmente attratti da alcuni spari di diversione, mentre non ci sono sottufficiali e il generale e il suo aiutante restano seduti all'interno? Inoltre i protagonisti si rendono conto di avere sparato a dei loro sosia (il tenente lancia uno sguardo di realizzazione incuriosita al cadavere del generale morto) ma sembrano prenderla per una cosa normale.
Sarebbe perfino possibile l'ipotesi, visto il carattere metafisico del film, che in realtà i quattro personaggi siano già morti e sognino di combattere. Nel finale, mentre due di loro aspettano il sergente nella nebbia: "Pensa che tornerà?" - "Non lo so. Non sono sicuro neanche che siamo tornati noi". E poco più tardi: “Penso di non essere adatto per questo” - “Nessuno lo è. E' uno stratagemma che usiamo quando non vorremmo morire subito”. E' vero che nel film il sergente viene ferito e sembra morire; ma è anche vero che aveva espresso proprio il desiderio di morire in precedenza.
In Fear and Desire si ritrovano riconoscibilissime anticipazioni del Kubrick futuro. La scena in cui i quattro soldati attaccano dei nemici in una capanna per impadronirsi dei loro fucili mostra già quella capacità di mettere in scena la violenza totale e assoluta che è una delle caratteristiche della sua opera. E' già molto kubrickiano lo sguardo satirico sulle pretese di civiltà: “Cerchiamo di rimanere civilizzati”, ripete il sergente che è il guerriero più feroce di tutti. Questo ricorda Il dottor Stranamore, come pure altri particolari del film (dal cane nominato tenente alla brevità semiseria del briefing finale). La scena della prigioniera legata che lecca l'acqua dalla mano del soldato possiede un erotismo disturbante che fa pensare alle fantasie di Arancia meccanica. Quella specie di girare in tondo dei soldati, con la boscaglia che si trasforma in uno spazio concentrazionario, anticipa l'ossessione labirintica di tutto il cinena di Kubrick. Una soggettiva impossibile della donna morta anticipa quel barocchismo che pure è uno dei tratti della sua opera. Perfino quel flusso di pensiero dei personaggi (qui assolutamente disastroso) crea un cortocircuito, richiama alla memoria una pagina di Full Metal Jacket, quando il classico stilema kubrickiano del carrello indietro rivela i morti della fossa comune, sulla voce over del pensiero del personaggio (Joker): “Morti coperti di calce viva. I morti sanno una cosa sola... che è meglio restare vivi”.
La bella fotografia è di Kubrick stesso (non dimentichiamo che lui veniva dal lavoro di fotoreporter): testo a parte, le scene della zattera sul fiume sono eccellenti. Ma perché il regista rinnegò il film? A prescindere dal suo simbolismo alquanto pesante, Fear and Desire soffre di un difetto fondamentale e paralizzante: una sceneggiatura, del poeta Howard Sackler, che non è esagerato definire disdicevole. Il suo linguaggio aspira a un tono “alto”, lirico-filosofico, infarcito di frasi ingenuamente estetizzanti che che ricordano il “Mi fanno male i capelli” di antonioniana memoria. Collegata a questo difetto basilare è la recitazione disastrosa del futuro regista Paul Mazursky nel ruolo del giovane soldato traumatizzato che cerca goffamente di sedurre la prigioniera, la uccide quando lei cerca di scappare, e impazzisce. La pagina in cui cerca di far ridere la ragazza legata imitando il generale, e quella in cui delira dopo l'omicidio, sono imbarazzanti a vedersi. Kubrick letteralmente pianse sentendo le risate a un'anteprima. Ma siamo onesti, recitando un testo simile perfino Sir John Gielgud sarebbe risultato ridicolo.
Non fa meraviglia che Kubrick, regista famoso in futuro per il suo perfezionismo, non voleva che questo film fosse proiettato. Vederlo oggi è una strana esperienza. Vi riconosciamo aspetti e procedimenti kubrickiani - ma “allo stato bruto” (come scrive Michel Chion nel suo splendido libro sul maestro). Stupefacente è che già nel 1955 Kubrick firmasse un film - Il bacio dell'assassino - che si inserisce a pieno titolo, anche estetico, nella sua filmografia. Se Fear and Desire era risultato, nelle parole di Kubrick stesso, “un tentativo serio fatto in modo inetto”, con Il bacio dell'assassino comincia davvero la sua carriera.

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