E'
ben nota al pubblico cinese l'antica storia del generale Yang,
assediato dai nemici Khitai, e di come i suoi sette figli gli vanno
in soccorso e poi, tutti meno uno, sacrificano la loro vita affinché
l'ultimo possa portare il cadavere del padre a casa. Ronny Yu -
ottimo regista a metà strada fra Hong Kong e Hollywood - la canta in
Saving General Yang con aperta epica solennità. Se l'azione
in una prima scena (il flashback dello scontro a due) è alquanto
debole e frettolosa, ciò viene poi ampiamente compensato dal
sanguinoso crescendo nel resto del film, con pagine di
combattimento memorabili. Almeno una è da antologia: il duello
all'arco fra due abilissimi arcieri in mezzo all'erba alta. Ma è da
citare anche l'improvviso e spiazzante flashback che incrocia la
morte di due dei fratelli, che precipitano in un dirupo insieme ai
nemici, con un ricordo infantile, quando da bambini si erano tuffati
in acqua da una rupe per sfuggire ai compagni di giochi dopo uno
scherzo. E' interessante notare che nella presentazione “barbarica”
dei Khitan – e per estensione quindi negli scontri – il film
mostra chiaramente l'influenza de Il Signore degli Anelli.
Tuttavia,
non è semplicemente sui combattimenti che Ronny Yu gioca le sue
carte, bensì su tre elementi che vorrei elencare in ordine crescente
di importanza. Primo, l'atmosfera morale su cui si articola il film.
Quel senso del dovere (righteousness, cioè yi) intriso
di sacrificio, e di conseguenza implicitamente fatale, è connaturato
al wuxiapian come genere ma raramente il cinema lo esprime con
tanta forza e sicurezza.
Secondo,
il grande affresco pittorico. Davvero si può dire che ogni
inquadratura è un quadro, grazie alla fotografia di Chan Chi Ying:
incantevole composizione, senso paesaggistico, originalità delle
soluzioni espressive, come quando la decapitazione dell'ostile
consigliere da parte del comandante Khitan avviene in un momentaneo
fuori campo entro la continuità di un carrello laterale, a causa di
un monticello di terra che blocca per un attimo la visuale. In Saving
General Yang la concezione “eroica” della fotografia
(inquadrature a piombo ecc.) non appare mai roboante proprio perché
si inserisce con coerenza in un tono alto generale.
Ma
soprattutto, a rendere grande il film arrivano gli splendidi squarci
sentimentali e melodrammatici in cui si spalanca il racconto (e
questa non è una sorpresa, venendo dall'autore di The
Bride with White Hair). Penso al
“controcanto” femminile, fatto di trattenuto dolore dominato dal
senso del dovere, rappresentato dalla madre Lady Yang (una splendida
interpretazione di Xu Fan) - e proprio questo “controcanto”
viene ripreso e riflesso dalla parte del nemico col discorso del
comandante Khitan sul dolore della madre propria, un racconto che
improvvisamente lo umanizza per entro la ferocia della vendetta.
Un
dettaglio come lo sguardo del generale Yang alla moglie prima di
partire, col suo breve controcampo, ci ricorda che è di queste cose
che si fa il cinema. Il punto più alto è la scena in cui Lady Yang
saluta i sette figli in partenza - una scena, per la concezione e per
l'invenzione dei particolari significativi, addirittura fordiana.
Così il film fonda un discorso eroico privo di revisionismi su una
sensazione viva e dolorosa del prezzo umano da pagare - sfuggendo
all'aspetto per così dire “ginnico” dei wuxiapian
puramente avventurosi.
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