Abbiamo
conosciuto Nakashima Tetsuya quando il bellissimo Kamikaze
Girls (che però non era la sua
opera prima) è stato proiettato al Far East Film Festival 2005.
Narrava dell'imprevista amicizia fra due ragazze giapponesi
diversissime: Ichigo è un maschiaccio motociclista, Momoko una
seguace estrema di quella moda fancy,
tutta pizzi, merletti, cuffiette, in cui le giovanissime esprimono
l'ideale giapponese del kawaii
(carino).
In
seguito nel notevole Memories of Matsuko (Far
East Film 2007) dopo l'assassinio di una barbona ex prostituta si
ricompongono retrospettivamente i tasselli della sua vita. La fine
rivela che a ucciderla senza motivo è stato un branco di ragazzini
annoiati.
Dopo
Paco to maho no ehon, una
sorta di fiaba nera, è arrivato lo sconvolgente Confessions.
Anch'esso presentato al Far East Film (2011), esce ora nelle sale
italiane, distribuito dalla sempre meritoria Tucker Film. E' un film
molto più cupo, anche visivamente,
rispetto allo stile flamboyant
cui ci ha abituati il regista giapponese, ma non è difficile vedervi
i tratti tipici di Nakashima: sul piano narrativo, una tendenza a
partire da un punto avanzato per “ricostruire” all'indietro la
storia; sul piano del contenuto, una visione angosciata della
gioventù giapponese e sull'assenza della famiglia (“Addio, inutile
padre”, pensa Momoko quando crede di morire all'inizio di Kamikaze
Girls).
In
Confessions la noia
spinge due ragazzi del liceo alla crudeltà senza scopo a uccidere
una bambina, figlia della loro insegnante. Adolescenti che hanno
perso le basi morali minime in una civiltà in caduta libera perché
ha spinto il garantismo fino all'autodistruzione: tanto, pensano i
due (citando un caso realmente accaduto), i minori non sono
legalmente responsabili.
Così
la madre della bambina assassinata si fa giustizia da sola. In una
sequenza a inizio film, potente e claustrofobica, che inizia in tono
quasi di comedy ma assume subito un'intollerabile
drammaticità, ella confessa in un lungo monologo il suo dramma alla
classe indifferente - e approfitta di un'iniziativa di eduzione
alimentare, l'offerta di latte agli allievi, per convincere i due
assassini di avere contaminato il loro latte col virus dell'AIDS.
Scandito
in capitoli intitolati “La confessione di...”, il film racconta
il processo di autodistruzione dei due colpevoli terrorizzati,
passando da un punto di vista all'altro come un Rashomon
morale. Dico morale perché qui la costruzione a tasselli non serve
tanto a definire l'accaduto quanto l'universo morale dei vari
personaggi: la madre di uno dei due che difende ciecamente il figlio,
una fidanzata piena di illusioni romantiche, i due assassini stessi,
per i quali si possono evocare i due estremi concomitanti del
comportamento nazista: il superomismo nella ferocia del primo, la
“banalità del male” nell'acquiescenza del secondo.
Confessions
è una impietosa riflessione sul male e la reazione, un impietoso
esame della colpa, un Delitto e castigo senza sbocchi. Forse
si avverte in alcuni passaggi una certa tendenza alla costruzione
dimostrativa; ma non più, diciamo, che ne Il diavolo
probabilmente... di Bresson. Nakashima ha il coraggio di porre il
tema della giustizia, di veder compiere la vendetta - anche se essa
lascerà un sapore di cenere. Così Confessions non è solo un
grande film ma uno dei pochi esempi di cinema etico degli ultimi
tempi.
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