Yonosuke,
l'eroe eponimo di A Story of Yonosuke di
Okita Shuichi (The Woodsman and the Rain),
è un giovane di provincia di buon carattere, un po' perso. Viene a
Tokyo e si iscrive all'università (nonché al gruppo universitario
di samba). Fa amicizia con diverse persone. Riesce simpatico alle
donne e nel suo modo svagato, ha le sue relazioni e i suoi amori. Si
interessa di fotografia. Nel corso del film attraverso i ricordi
degli amici veniamo a sapere che è morto giovane. Tutto qui? Tutto
qui.
Eppure
A Story di Yonosuke non si può
definire in altro modo se non appassionante. E' un film di
incredibile immediatezza:
sicché il sentimento che desta negli spettatori si può definire di
cordiale adesione ai personaggi (è questo, accanto alla perizia
narrativa e di messa in scena di Okita, che fa passare le sue oltre
due ore e mezza quasi senza accorgersene). Naturalmente
quest'immediatezza non cade dal cielo: è abilmente costruita - ma
proprio in questo sta la realizzazione artistica. Yonosuke non è un
catalizzatore in senso proprio, ma certo lo è in senso simbolico:
ovvero, è come un centro, un polo di attrazione, intorno al quale si
organizza (in apparenza) spontaneamente il film.
Le cui caratteristiche
sono una grazia generale, un umorismo delicato, un sentimentalismo
sempre controllato. Ma al di là di questo, parlare di immediatezza
significa avvicinarsi alla vita. Questo film assume un tono autentico
(un termine che va al di là di “realistico”) perché il suo
svolgimento è analogo a quello reale della vita: ci si incontra, ci
si perde di vista, nascono amicizie che sembrano eterne e poi
finiscono, viceversa casualità si trasformano in imprevedibili
amicizie; e ciò vale ancora di più per l'amore: quell'incertezza
del futuro che è la caratteristica più forte dell'amore, quella
possibilità del morire dell'eclissarsi dei sentimenti, o viceversa
quel loro rispuntare, tutte cose che conosciamo bene dalla vita – e
che non è così facile ritrovare in un film. Perché? Ma perché per
sua natura un film (cioè una storia che dev'essere venduta al
pubblico) si basa sulla drammaturgia, ossia la costruzione dei
destini e delle vicende: il caso non esiste, o è ridotto al minino;
ogni processo deve avere il suo compiuto sviluppo e ogni attimo è
indirizzato al prosieguo.
Invece
in A Story of Yonosuke
l'elemento drammaturgico di causa/effetto è abilmente annullato nel
fluire delle cose - proprio come la vita stessa è una drammaturgia
incompiuta e mancata. Quindi abbiamo l'impressione di spiare
personaggi del mondo reale (e non era proprio questo il programma
della Nouvelle Vague?)
Bisogna
poi riflettere sul tempo. Pur essendo in realtà sempre declinato al
perfetto narrativo, il racconto cinematografico ha due strade
possibili da seguire: o un falso presente in sviluppo, tutto aperto
alle possibilità del futuro (il quale naturalmente può comprendere
la sconfitta o la morte) – o il tuffo all'indietro nel passato, sul
filo del ricordo, giocato sull'“E' già accaduto”. I
400 colpi e Quarto
potere, per intenderci. Quale di
queste due strade segue A Story of Yonosuke?
Entrambe.
Questo
grazie a un bellissimo lavoro sul tempo, con dei falsi raccordi che
rappresentano, sì, dei flash-forward, ma che (per il loro contenuto
commemorativo)
lanciano uno sguardo retrospettivo, nostalgico e mortuario, sul
“presente” del film. Lo mette particolarmente in chiaro ultimo di
essi, con il personaggio di Choko, ormai adulta e madre di una
ragazza, in auto, che dal finestrino vede (è una soggettiva
dichiarata) se stessa giovane con Yonosuke; e questo sguardo
dall'auto che si allontana, mentre le figure si rimpiccioliscono, ha
un forte senso di addio.
Il
senso del ricordo e della morte è fortemente presente nel film. Non
bisogna dimenticare che questo film è ispirato, sebbene non
ufficialmente, a un noto fatto di cronaca - il protagonista è
diventato famoso a partire dalla sua morte per un atto di eroismo
nella metropolitana. Il pubblico giapponese è ben al corrente di
ciò. Quindi sul presente di Yonosuke si stende retrospettivamente la
morte (meno per il pubblico occidentale, naturalmente, ma lo si
capisce nel corso del film). Anche per questo è fortissima nel film
la dimensione del ricordo.
Le ultime parole del film (l'invito della madre a Choko) parlano
proprio del ricordare/raccontare (etimologicamente, commemorare).
Penso che in questo senso sia significante l'immagine del ciliegio in
fiore fotografata da Yonosuke alla fine del film, tanto più che
vediamo i petali “nevicare” su di lui - il che ricorda tanto i
fiocchi di neve di un precedente momento felice quanto il significato
simbolico di quei fiori (bellezza unita a brevità: l'impermanenza)
nella cultura giapponese.
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