Marc Webb
Un poster di Einstein in camera di Peter Parker fornisce una considerazione valida per qualsiasi reboot (cioè un remake con ripartenza da zero) di una saga: “E' più importante l'immaginazione che la conoscenza”. Oggi la saga dell'Uomo Ragno riparte con “The Amazing Spider-Man”, affidato al regista Marc Webb: senza grandi pretese autoriali ma in compenso con perspicacia e con una gradevole freschezza. Arriverei a dire (certo scandalizzando molti lettori) che è più spigliato del primo film - piuttosto accademico - di Sam Raimi (il vero “Spider-Man” raimiano è il secondo). Non per nulla qui troviamo fra gli sceneggiatori, accanto a James Vanderbilt, Alvin Sargent (che appunto fu tra gli autori di “Spider-Man 2”) e il grande Steve Kloves.
Il film fa un uso intelligente del 3D. E' piacevole per esempio che si apra applicando il 3D ai mobili di un semplice appartamento col gioco a nascondino. Un altro tocco indovinato è che il film presenti almeno due volte degli ologrammi, nelle scene di laboratorio, e inserire un ologramma (i.e., una forma tridimensionale) in un film in 3D è una sorta di raddoppiamento che in quanto tale mostra una consapevolezza del mezzo. La solita sarabanda di voli, che sembra fatta apposta per il tridimensionale, verrà in seguito; e qui il film trae veramente il meglio dal panorama di New York notturna.
Marc Webb ha un background inaspettato: viene dalla musica (videoclip e documentari) e dalla commedia romantica. Non stupisce vederlo particolarmente interessato all'aspetto personale: il carattere adolescenziale di Peter Parker, segnato dalla scomparsa dei genitori, e il suo innamoramento di Gwen Stacy (lo spruzzo di ragnatela che attira Gwen nell'abbraccio è l'equivalente contemporaneo del famoso bacio rovesciato di Sam Raimi - che non è contemporaneo in quanto è già diventato un'immagine classica). Il dialogo di chiusura gioca abilmente con una debolezza d'origine del fumetto, il fatto che Peter si tira continuamente indietro con le sue belle per paura che i cattivi se la prendano con loro (Spider-Man non è proprio un campione nel nascondere l'identità segreta. Anche qui, è sconsigliabile lasciare il tuo nome sulla macchina fotografica quando l'hai fissata vicino alla tana del mostro per raccogliere prove).
Dal film emerge un quadro psicologico di Parker ben disegnato (ombra degli “Harry Potter” di Steve Kloves?), un mix di gentilezza da bravo ragazzo (delizioso quando nel primo scontro, nel vagone del metrò, non fa altro che chiedere “Scusi” e “Mi dispiace tanto”) unita a una certa violenza adolescenziale che fa fatica a dominare. Nota in margine: considerando quant'è stronzo il classico bulletto del liceo che lo tormenta all'inizio, ci si chiede perché dovrebbe dominarla, e non piuttosto strappargli la testa per giocarci a palla - ma questo è improponibile per la correttezza politica hollywoodiana. E' già molto che a tal proposito ci sia una sequenza anticonformista: in lotta con Lizard e contemporaneamente braccato dalla polizia, Spider-Man viene aiutato dagli operai edili tramite un ponte di gru. Questo è interessante perché introduce un classico tema populista-conservatore: la polizia (o meglio i liberal che comandano) odia i giustizieri mascherati, ma l'uomo comune che lavora, il colletto blu, ha invece ben chiaro chi sono i buoni e chi i cattivi.
La mitologia di Spider-Man emerge adeguatamente: niente revisionismi alla Nolan. Se zia May qui per la prima volta ha i capelli neri, si potrebbe osservare che questi la connotano più come madre che come grandma, la canuta zia-nonna del fumetto: in accordo con la sofferenza di Peter che si sente abbandonato dai genitori. Invece colpisce la mancanza di J.J. Jameson; ma il presente film è addirittura plateale nel dichiararsi come primo di una serie, e che la comparsa di J.J.J. sia solo rimandata lo capiamo quando viene inquadrata la testata di un giornale di New York ed è proprio il “Daily Bugle”.
Accanto a un certo realismo (Peter ha sempre la faccia piena di botte e ferite), c'è una corrente di solido umorismo che attraversa il film. A partire dal divertente riduzionismo ironico del costume: il film lo beffeggia amabilmente facendo sì che l'idea sia suggerita a Peter dai poster di una palestra di wrestling (“El Cruzado de la Noche”). O lo spiritoso raccordo che da “Ti piace il branzino?” - “Piace a tutti” di Gwen e Peter ci porta agli schifosissimi esemplari conservati sotto alcool in vaso nel laboratorio. O il tradizionale cameo di Stan Lee, che però qui ascolta musica classica con le cuffie senza accorgersi che alle sue spalle Spider-Man e Lizard distruggono la stanza (come dire: sì, tutti questi film di supereroi Marvel sono figli miei, ma ormai vanno per la loro strada).
lunedì 23 luglio 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento