sabato 25 ottobre 2008

Mamma mia!

Phyllida Lloyd

“I have a dream / A song to sing”, canta sulla barca Amanda Seyfried in apertura di “Mamma mia!” – e potrebbe essere il riassunto del musical come genere. Un musical? Quasi incredibile che abbia successo da noi, come l’ha avuto questo film di Phyllida Lloyd, versione cinematografica dello spettacolo scritto da Catherine Johnson con le canzoni degli ABBA. Anche lasciando da parte il caso assai specifico di Tim Burton, ci sono stati negli ultimi anni dei musical più belli di questo, ma di successo assai minore: come il notevole “Chicago” di Rob Marshall e lo splendido, sottovalutato “Romance & Cigarettes” di John Turturro.
Non per negare che “Mamma mia!” (in cui una ragazza cresciuta con la madre single su un’isola greca invita di nascosto al proprio matrimonio i tre amanti della madre di vent’anni prima, uno dei quali è suo padre e non lo sa) sia molto piacevole. Gli ABBA non sono Cole Porter, ma le loro canzoni sono orecchiabili - e le “lyrics” sono belle, con rime spiritose e molta umanità. La location greca non viene sprecata, e le coreografie mantengono una dimensione collettiva elementare ma ben costruita (deliziosa la corsa trionfale che coinvolge tutte le donne del paese, vecchiette comprese, fino al tuffo finale in mare). Servita da un buon montaggio veloce, la regia è corretta, anche se bada più a muovere la mdp che a trarre il possibile dai volti dei paesani. Il film deve tutto alla buona performance degli interpreti. Non solo l’eccellente Meryl Streep, che balla e canta in salopette come se non avesse fatto mai altro nella vita, e senza sorpresa ruba la scena a tutti, fino a esplodere nella bella canzone sull'amore passato e il rimpianto, “The Winner Takes It All”: la scena madre del film. Meryl Streep trova due buone spalle nelle amiche classicamente contrapposte, Julie Walters e la scatenata Christine Baranski; i tre padri putativi (Stellan Skarsgard, Pierce Brosnan e Colin Firth) godono di un certo gioco di definizione psicologica che li differenzia e li ravviva; volutamente un po' leziosa, la figlia, Amanda Seyfried, regge bene il confronto.
Nonostante tutto l’allegro giovanilismo che li circonda (interessante perché vagamente incestuosa la scena dei “padri” letteralmente travolti da un'orda orgiastica di giovanissime sbronze e assatanate), nel film i “vecchi” sono centrali rispetto ai giovani. Questo perché il punto di vista profondo del film non è quello della speranza nel futuro dell'età giovanile ma quello del rimpianto e dello smarrimento dell'età matura. Il tema sotteso a “Mamma mia!” è il senso del passato, il fuggire del tempo, il rimpianto per le scelte fatte. Proprio questo tempo passato si è fisicamente incarnato in una persona, la figlia che i tre non sanno di avere, e che rappresenta il tramite con l’oggi ma al tempo stesso l'ostacolo: come in un mélo di Douglas Sirk, solo con la sua uscita di scena la madre e il suo innamorato potranno ritrovarsi.
Bisogna sottolineare che la gioventù di Meryl Streep, delle sue amiche e dei suoi tre amanti si situa alla fine dell’onda lunga degli hippies (con ciò fornendo abbondante occasione di scherzi al film, come quando vediamo i tre gentiluomini coi capelli lunghi della gioventù); sono i “baby-boomers” degli anni settanta. Perché la notazione generazionale sia importante lo spiega assai bene una delle canzoni migliori, che dice: “In realtà avevamo paura di volare... di diventare vecchi”. Quella generazione è quella che nel XX secolo ha maggiormente lottato contro il tempo, quella che ha cercato di rimuovere il concetto stesso di crescita, l'invecchiare, le responsabilità - come la famiglia - che porta con sé. Proprio per questo i “baby-boomers” erano (sono) tragicamente sensibili al passare del tempo.
La riapparizione reiterata dei sei nel film con costumi e canzoni stile anni Settanta è celebrativa e al tempo stesso comica: perché è un travestimento: il rimettere i panni d’una volta per evocare temporaneamente un passato che è passato. Mentre sembra esorcizzarlo, riconosce e celebra quel golfo dolceamaro del tempo che ha alle spalle ormai.

(Il Nuovo FVG)

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