martedì 19 agosto 2008

Wanted

Timur Bekmamentov

Non solo è godibilissimo ma possiede due aspetti di estremo interesse “Wanted – Scegli il tuo destino”, diretto da Timur Bekmamentov, con un ottimo montaggio di David Brenner. In primo luogo, nella sua qualità di film totalmente fumettistico (ma non c’entra che sia tratto da un fumetto) porta all'estremo la cartoonizzazione dell’immagine (ex) fotografica. Non mi riferisco al carattere eccessivo delle sue sequenze d'azione, come il “car chasing” iniziale, e neppure alle sue pallottole post-“Matrix” che descrivono una curva anziché una linea retta. Questi sono trucchi, qualcosa che c'è stato nel cinema fin da Méliès: sono la realtà nell’universo diegetico postulato. La (relativa) novità sta in una scena umoristica: quando il protagonista Wesley (James MacAvoy), illustrazione del perdente nato, fa un bancomat e scopre di essere senza soldi, il display del bancomat lo insulta, dicendogli che è un fallito, che la sua donna scopa col suo migliore amico e lui è troppo vigliacco (“pussy”) per farci qualcosa.
Ora, questa sarebbe ordinaria amministrazione in un cartoon o in un film comico alla Jerry Lewis (magari diretto da Frank Tashlin, trait d'union fra le due categorie); ma in un film “realistico” rappresenta una inconcepibile rottura dell'ordine delle cose; anche se lo razionalizziamo come simbolizzazione allucinatoria, appartiene a quel tipo di scherzi che un film può pericolosamente permettersi solo a patto che siano come un’isoletta nel flusso del discorso, tale da venire “recuperata” dal realismo narrativo. Solo che qui, in un racconto così ostentatamente cartoonistico, un simile recupero è impossibile: la rottura del realismo deriva dalla cartoonizzazione e al contempo la porta mostruosamente avanti. Una rottura di cui forse neppure Timur Bekmamentov è pienamente cosciente (il suo “I guardiani della notte” restava nel campo del realismo fantastico ortodosso); una rottura che conferma come l'irruzione della computer graphics nel cinema – in altri termini la progressiva riduzione del profilmico – abbia spostato il cinema sul piano del cartoon anche a livello di narrazione. Ora James Bond può davvero viaggiare su un elefante dalle zampe di ragno in un deserto di Salvador Dalì. E’ un frutto velenoso, ma inevitabile – e allora, “quello che non mi uccide mi rende più forte”.
Un secondo aspetto di rilievo di “Wanted” è l’efficacia satirica della sua rappresentazione di un problema morale, il rapporto fra giustizia e individuo (più del gonfio e faticoso “Il cavaliere oscuro” di Nolan). Eterodiretta fino all'assurdità, questa Confraternita di giustizieri commette omicidi di cui non sa il perché: ricevono gli ordini dall’esterno, come cekisti da un fantomatico comitato centrale bolscevico – ma questo esterno non è un'istanza umana: i nomi dei bersagli appaiono in codice binario sui fili di tessuto nelle filiere della fabbrica (evidente il riferimento alla Parche). L'unica giustificazione offerta da Fox (Angelina Jolie, che qui è un fumetto già nel viso) a Wesley - dopo che questi ragionevolmente non ha voluto sparare a un uomo di cui non sa nulla - è empirica: il flashback sull'uccisione del proprio padre da parte di un killer che, anche lui, era stato risparmiato. Che il garantismo giuridico non solo non paghi ma si sia trasformato nel suo contrario, ce l'hanno già insegnato quasi 40 fa Clint Eastwood e Don Siegel con “Dirty Harry” (“Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!”). Però l' irrazionalità dell’alternativa messa in scena da “Wanted” elide parodisticamente tanto la soluzione “bronsoniana” (“Il giustiziere della notte”) di una moralità e onestà individuale quanto quella “politica” e totalitaria di una organizzazione provvista di conoscenza superiore.
Nella conclusione con la voce narrante del protagonista, un discorso costruito per anafora su una serie di negazioni, se prima il film aveva messo in crisi il realismo diegetico, adesso può permettersi (riprendendola dal fumetto) una metalessi radicale: il protagonista interpella direttamente lo spettatore - e dichiara la propria superiorità su di lui. Un film iniziato populista finisce nietzschiano.

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