Andrew Adamson
E’ il colmo per la magica terra di Narnia, ma proprio di magia manca “Il principe Caspian”, secondo episodio delle “Cronache di Narnia” cinematografiche. Gli sceneggiatori (gli stessi del primo film, con l’assenza di Ann Peacock) stavolta offrono una trascrizione poco ispirata del romanzo omonimo di C.S. Lewis – romanzo ingannevole e divergente, che prende sempre strade impreviste: che è prima un fiabesco romanzo di formazione appena accennato, poi un’avventura fra gli alberi, fra caldo fame e sete (la fantasticheria di perdersi come l’immagina un ragazzo inglese), infine una fantasia satirica di liberazione panica - in senso proprio - che sconvolge una città e un sistema scolastico perfettamente britannico.
Gli eventi si sviluppano 1300 anni dopo la prima visita a Narnia di Peter, Edmund, Susan e Lucy; il loro regno è ora solo una memoria sfumata nella leggenda, la Narnia che conoscevano è decaduta e inselvatichita. I Telmarini l’hanno conquistata e “civilizzata”, e le ultime creature magiche sono ridotte a nascondersi nella foresta. Se “Il leone, la strega e l’armadio” metteva in primo piano la connotazione cristologia di Aslan, ne “Il principe Caspian” Lewis allude alla perdita della fede nel mondo moderno (“Nessuno crede più in Aslan di questi tempi”, dice un personaggio).
Senza sorpresa, gli sceneggiatori del film hanno scelto di concentrarsi sull’avventura fantasy, descrivendo la guerra di Caspian e del popolo magico di Narnia contro l’usurpatore Miraz. Una trascrizione del romanzo che è certamente pertinente, in quanto amplia elementi in esso presenti, ma che non è capace di mantenerne l’aspetto fiabesco (salvatosi, per esempio, nella bella scena dell’evocazione della Strega Bianca, dove l’ampliamento del romanzo funziona assai bene).
Naturalmente uno potrebbe chiedere: e perché gli autori avrebbero dovuto mantenere per forza il tono fiabesco? Non è questione di fedeltà a C.S. Lewis; è perché proprio su questo tono si incentrava il primo film di Narnia, “Il leone, la strega e l’armadio”, sicché il secondo episodio crea un pesante iato. Il film sembra modellarsi su “Il Signore degli Anelli”, ed è privo di quel “british humour” che rendeva scintillante il primo.
Il concetto di ritornare in un mondo e scoprire che non c’è più avrebbe potuto suggerire un elemento elegiaco; ma l’andamento pesante e quasi burocratico che caratterizza la prima parte del film anche qui esige il suo pegno, e non se ne fa nulla. Probabilmente nella speranza di allargare il target, c’è un molesto sviluppo modernizzante dei quattro ragazzi: vedi la scena della metropolitana: si potrebbe dire che il secondo film della serie cade in tutte le trappole di “attualizzazione” che il primo aveva evitato. Anche il principe Caspian nel film perde le caratteristiche adolescenziali e viene trasformato in un personaggio adulto, peraltro evanescente - un pulito belloccio disneyano, che del resto appare un po’ scemo (il suo comportamento durante la battaglia notturna). Ciò ha suggerito agli sceneggiatori di inventare un’antipatia fra lui e Peter, prevedibile e banale. Nota che, come il gruppo di Harry Potter, gli interpreti del film sono più vecchi dei loro personaggi (quelli di Peter e Susan in realtà sono sulla ventina); a differenza del gruppo di H.P., non danno l’impressione di crederci. Il leone divino Aslan è un programma al computer, ma ciò nonostante resta il più espressivo fra tutti gli attori del film.
Persi i valori su cui si reggeva il primo film, cosa resta? Solo l’eccellenza dei trucchi in digitale (il tasso è proprio da vedere), le scenografie, e naturalmente le battaglie, indubbiamente suggestive. L’esercito di soldati maschere di ferro, le macchine da guerra, il crollo del terreno sotto gli zoccoli dei cavalieri Telmarini, il ponte abbattuto da una gigantesca creatura acquatica, tutto ciò ha la sua bellezza visuale. Però il primo film di Narnia aveva un’unità e una compattezza che qui sono (come il regno di Re Peter) solo un ricordo.
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