venerdì 29 febbraio 2008

Non è un paese per vecchi

Joel & Ethan Coen

C’è una coincidenza interessante all’inizio del capolavoro di Joel & Ethan Coen “Non è un paese per vecchi”. “Le dispiace stare fermo per favore”, dice il killer Chigurh (Javier Bardem) alla sua prossima vittima; “Stai fermo”, sussurra Llewelyn Moss (Josh Brolin) al cervo inquadrato nel mirino. Cervi, cani, uomini, tutto è caccia; un inseguirsi e spararsi in un mondo dove gli occhi saggi e tristi dello sceriffo Bell (Tommy Lee Jones) non riescono più a vedere un senso. Ma questa è sempre stata la grande questione metafisica del cinema dei fratelli Coen: la polverizzazione della conoscenza, la perdita del senso, la possibilità di trovarlo solo nel punto fermo della violenza e della morte.
Tratto fedelmente (anche i dialoghi) dal romanzo del grande Cormac McCarthy, “Non è un paese per vecchi” contiene in sommo grado quella specifica qualità coeniana che è l’evidenza. Evidenza dei fatti: azioni, reazioni, spari; evidenza dei personaggi, la consueta serie di figure bizzarre dei Coen; evidenza della morte, la grande realtà che intesse il film. E’ la storia di Moss che trova una borsa con due milioni fra i cadaveri di uno scontro fra narcotrafficanti e la ruba, senza accorgersi che dentro c’è una trasmittente. Sulle sue tracce si pone Chigurh, personificazione del male, che raggiunge una irreale comicità molto coeniana proprio per l’estremismo della sua terribilità (impagabile il colloquio minaccioso con il negoziante). Insegue l’inseguimento lo sceriffo Bell, tormentato rappresentante del bene. Tutto sullo sfondo di un paesaggio che - nella splendida fotografia di Roger Deakins - più indifferente non potrebbe essere: tanto il deserto del Texas quanto le strade vuote di una città notturna dove sono vivi solo i neon, i verdi vialetti pretenziosi dei “suburbs”, la barriera di ferro e cemento della frontiera messicana, i tristi motel alla Edward Hopper; i sanguinosi drammi umani vi si svolgono come drammi di formiche in una boccia di vetro.
Moss, il “loser” che gioca a un gioco più grande di lui, con buffa abilità inventa piani e marchingegni – ma che valore ha la razionalità in un universo impazzito? La poderosa, quasi inconcepibile ellissi che inghiotte il destino di Moss (c’è anche nel romanzo ma qui è mostruosamente dilatata) oltre che a frustrare lo spettatore-popcorn serve a ricordarci che la morte è qualcosa di imprevisto e fortuito; non scatta lungo un percorso logico ma improvvisa e senza senso - se fermi l’auto per strada, se fai conversazione con l’uomo sbagliato, se ti distrai dietro una squinzia che ti offre una birra in camera sua… La morte è casuale come il testa o croce di una moneta, e il filosofo Chigurh lo sa meglio di tutti nel film.
Cormac McCarthy canta e i fratelli Coen ricantano il lamento della perdita dell’innocenza americana. In una magnifica scena di sapore fordiano i due vecchi sceriffi (Tommy Lee Jones e Rodger Boyce), onesti conservatori, discutono tristemente di come il mondo sia diventato un inferno; lungo il film il male - ossia la perdita di un senso morale che solo può fondare la ragione - si diffonde come un’epidemia e l’agente infettivo del male è il denaro, proprio come ne “L’Argent” di Bresson. Ma nonostante l’evidenza del degrado la storia western dello zio Mac ci dice che il male è cosa antica nelle costole dell’America. Nozione sconvolgente per un paese che ha nel suo codice culturale la tendenza alla palingenesi in opposizione alla vecchia Europa (dall’utopia religiosa dei puritani all’illuminismo dei costituenti) - perché nega il cuore stesso dell’autocoscienza americana: il mito del giardino in opposizione al deserto.
Il problema che pongono i Coen è lo stesso di David Lynch in “Twin Peaks” e sembra avere la stessa risposta: anche se lo sceriffo si ritira (ma dopo una vita intera), l’unica cosa è di tenere accesa la propria fiammella. Il monologo finale, che i Coen riprendono da McCarthy, traduce il vernacolo texano ad altezze bergmaniane: l’evocazione della luce che va accesa ricorda la messa da celebrare di “Luci d’inverno”.

(Il Nuovo FVG)

1 commento:

Anonimo ha detto...

placereani, lei è un Grande.

http://www.baotzebao.eu/2008/01/31/call-it-friend-o/


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