sabato 8 marzo 2008

Persepolis

Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud

Il mondo ha una lunga storia di profezie sbagliate ma sentite questa della madre di Marjane in “Persepolis” agli albori della rivoluzione: “In ogni modo, non potrà mai essere peggio che sotto lo Scià”. Poi vediamo in “Persepolis” (il fumetto e il film) andare al potere i bastardi khomeinisti e in queste pagine/scene vengono squadernati tutti gli orrori del regime teocratico iraniano – alcuni ben noti al mondo e altri meno (poiché è vietato giustiziare una vergine gli ayatollah la fanno deflorare prima, come Tiberio con la figlia di Seiano in Tacito).
“Persepolis” disegna un quadro dell’Iran di impressionante nettezza e potenza - sia sul piano storico di 30 anni sia sul piano sincronico della vita quotidiana - nel suo tratteggiare la vita di una ragazza combattiva, dall’infanzia in poi, attraverso la rivoluzione, l’esilio volontario in Europa per sfuggire al potere dei mullah (non mancano acide osservazioni, molto centrate, sugli europei), il ritorno in Iran, la partenza per un nuovo esilio. “Ti proibisco di tornare”, le dice per amore la madre alla partenza, poiché l’immondo regime che soffoca l’Iran non è posto per lei.
Marjane Satrapi ha trasposto in cartoon, assieme a Vincent Paronnaud, il suo fumetto autobiografico, compiendo un intelligente lavoro di asciugamento del testo per portarlo a una dimensione di film (mantenendo ma riducendo la parte immaginaria). Un paio di dettagli, come la casa degli omosessuali o il serial giapponese di Oshin, rimangono a titolo di pura autocitazione per chi ha letto il fumetto. Il cartoon presenta un tratto alquanto ingentilito rispetto a quello volutamente quasi infantile del fumetto (interessante che nel film i personaggi sorridano con la bocca a salsicciotto e grandi denti disegnati a tratti verticali proprio come i Simpson). Il testo è spiritosissimo - vedi il “controcampo emotivo” per cui il fidanzato Markus, scoperto infedele, viene ridisegnato come un mostriciattolo, o la partecipazione di Godzilla come guest star.
Il film conserva il bianco e nero che caratterizza le pagine del fumetto (breve eccezione, la Parigi di Marjane Satrapi), nonché l’aspetto bidimensionale del disegno, lavorando per ridurre l’effetto di prospettiva; vedi come appaiono “flat” le fronde degli alberi in primo piano davanti a un edificio - l’aspetto voluto non è quello dell’imitazione grafica di uno spazio tridimensionale ma di un foglio di carta ritagliato e sovrapposto a un altro. Questo si può collegare all’uso di un teatro di marionette piatte per rendere alcuni momenti di tono ironicamente semi-mitico come l’ascesa al trono del primo Scià. L’elemento di astrazione del disegno – che, come giustamente è stato osservato, a tratti richiama direttamente la grafica espressionista – confligge fecondamente con la materia realistica e bruciante del racconto.
Tre dimensioni sorreggono il sistema monocromatico del film: il nero, un inchiostro profondo, proteiforme, sempre pronto a espandersi; il bianco, che la luce del proiettore contrastando fortemente col nero rende accecante; un grigio granuloso che serve per gli sfondi. Questo nero del film è mobile, si modula in varie forme. In un’inquadratura sull’obbligo del chador i corpi femminili infagottati si fondono nel nero, i visi diventano ovali bianchi in un mare d’inchiostro. Il nero di un edificio in controluce diventa un “nero” di stacco che serve alla transizione fra il disegno dei personaggi per strada e quello degli stessi nella festa clandestina in una casa.
Tutto ciò all’interno di una più larga tendenza del disegno alla trasformazione e allo scambio (i corpi delle due megere in chador che interrogano Marjane si deformano e s’incurvano, quasi due serpenti con un’acida faccia umana). Questa dimensione mobile è un’aggiunta, ma la transizione di “Persepolis” da fumetto a film è così intrinsecamente fedele e così felice perché evidentemente esaudisce una tensione verso la trasformazione e il movimento che c’era già nella pagina disegnata.

(Il Nuovo FVG)

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