Woody Allen
Woody Allen, ce lo ha raccontato in veste di comico, è tutta la vita che battaglia col suo Super-Io (quello che gli appariva come Humphrey Bogart in “Provaci ancora Sam”). Ora si ha l’impressione che il Super-Io abbia riportato una vittoria sbaragliante sul piano artistico. Perché la caratteristica dell’ultimo film alleniano, “Sogni e delitti”, sembra un’ipertrofia dell’autocontrollo. Molti anni fa Woody ci diede una grande definizione del classicismo quando disse: “Io sono per il classicismo - mi piace la pizza al formaggio con niente sopra”. “Sogni e delitti” mira al classicismo assoluto: vuol essere un’aspra moralità basata su un’estrema concentrazione; è perfino commovente osservare come Allen abbia cercato di asciugare, di evitare fughe, di raggiungere una forma severa. Nondimeno, il film è da considerarsi (purtroppo!, sospirerà ogni buon alleniano) un fallimento artistico. Non è necessario invocare la “sacra dismisura” nietzschiana per concludere che Woody era più felice quand’era più libero.
Com’è noto, uno dei capolavori assoluti di Woody Allen, del 1989, è “Crimini e misfatti”. Di quel film, Allen nel 2005 realizzò, non un remake, ma certo un ideale rifacimento, “Match Point” (molto bello ma senz’altro inferiore al primo); e “Sogni e delitti” è a sua volta una variazione sul tema di “Match Point”, l’omicidio e la colpa. E’ la parabola di due fratelli, l’uno “un morto di fame che fa il pezzo grosso con le macchine degli altri” (autodefinizione di Ian/Ewan McGregor), l’altro un giocatore compulsivo indebitato con gli strozzini (Terry/Colin Farrell). Arriva il ricco e paterno zio Howard (un ottimo Tom Wilkinson) e – in un momento di rovesciamento totale delle nostre aspettative sul personaggio, non per nulla sottolineato simbolicamente da uno scroscio di pioggia – si offre di finanziarli se commetteranno un omicidio per lui.
Il film indica nel percorso dei fratelli una nera progressione: tirare sul prezzo della barca che comprano (“Cassandra’s Dream” è il suo nome di cattivo augurio) dopo essersi compiaciuti che costa poco, vivere di gioco d’azzardo o mentire sulla macchina che si guida, appropriarsi dei soldi del padre, e infine uccidere, appartengono allo stesso ordine morale. Il problema attorno al quale gira il pessimismo alleniano è sempre lo stesso: posto che l’ipotesi di Dio è fuori dal quadro, esiste una morale oggettiva o i rapporti umani sono ispirati al puro pragmatismo dell’“homo homini lupus”? Tradizionalmente in Allen un elemento di coesione è la famiglia. Ma questo film satireggia gelidamente proprio la famiglia, coi discorsi omicidi di zio Howard che riecheggiano quelli morali della madre.
Il problema è che i dialoghi sono una ben modesta copia di quelli vertiginosi di “Crimini e misfatti”, nonostante un paio di reminiscenze shakespeariane. Non mancano dei buoni momenti (com’è bello quel delitto che si compie fuori campo mentre la macchina da presa si allontana in un carrello vuoto) ma il film in generale risulta un’opera piuttosto stanca. I personaggi minori sono poco definiti. Vedi com’è una figura irrisolta l’attrice fidanzata di Ian, Angela (Hayley Atwell). Comprendiamo subito che il suo ruolo di mangiauomini sul palcoscenico (in tale ruolo Woody la filma con un pudore un po’ preoccupante per l’uomo che ha detto “Vorrei essere il collant di Ursula Andress”!) è una “mise en abyme” del suo personaggio nel film; però poi Allen, tutto concentrato sul tema del senso di colpa del fratello Terry, sembra lasciare questo sviluppo per strada.
Quanto ai genitori (John Benfield e Clare Higgins), fanno pensare alle famiglie ebree americane disegnate da Allen tra affetto e ironia in tutta la sua carriera. Solo che questa copia è asetticamente situata in Inghilterra. E qui forse riusciamo a toccare un altro dei motivi per cui “Sogni e delitti” non colpisce il segno: non bisogna essere deterministi ma forse per Allen recidere (cinematograficamente) il suo legame con l’America si è tradotto in un danno artistico.
(Il Nuovo FVG)
sabato 15 marzo 2008
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1 commento:
Buono, non il migliore di Allen.
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