mercoledì 16 gennaio 2008

Monella

Tinto Brass

Gina Lollobrigida sull'asino è diventata icona del post-neorealismo ("Pane amore e fantasia"); ha la forza d'immagine per diventare un'icona di tutto il cinema di Tinto Brass Anna Ammirati, deliziosa esibizionista, nella sequenza d'apertura di "Monella", esibendo sulla bicicletta un sedere perfetto. Monomania? Certo. Morandi dipingeva solo bottiglie; Brass solo sederi, e pubi, femminili. E' un poeta del derrière.
Per Brass l'incantesimo del corpo femminile (quello maschile non gli interessa affatto) coincide con l'incantesimo del cinema. Lo sguardo attraversa tutto il film di Brass: sguardo desiderante dei personaggi tra loro e sguardo avido della macchina da presa, avida come un vampiro, o un amante. E il corto circuito dello sguardo in macchina, che trapassa la barriera dello schermo. In "Monella" dopo la scena più audace, in cui fa pipì in terra sotto la pioggia, Anna Ammirati lancia di sopra la spalle uno sguardo in macchina fulminante, di sfida e di complicità. A chi? Al regista suo mentore, alla macchina da presa, allo spettatore, in uno.
Perché il cinema di Brass si basa su una doppia identificazione. In primo luogo l'occhio del regista, demiurgo del proprio maniacale totalitarismo erotico, si identifica con quello della macchina da presa: che per questo è così fisica, curiosa, carnale. Concretizza quest'identificazione la presenza sempre più marcata di Brass come figura fisica nei suoi film; in "Monella" non solo apre e chiude il film, guardando in macchina, ma lo attraversa doppiando Patrick Mower (e innestando così un bel cortocircuito di ambiguità di rapporti). Brass è prismatico, il suo cinema è un gioco di riflessi. Anche per questo è pieno di specchi.
In secondo luogo Tinto Brass identifica il suo sguardo con quello dello spettatore, trascinandolo nella propria sublimazione eroica del voyeurismo. Ha anche questo significato il pigmalionismo di Brass, la sua mania incoercibile di scoprire - il doppio senso, trattandosi di Brass, è inevitabile ed utile - sempre volti nuovi/corpi nuovi.
Il corpo: Brass vorrebbe essere dappertutto, vorrebbe moltiplicare l'occhio all'infinito (in attesa o nel sogno di un cinema che renda tutti i cinque sensi: ciò che lui cerca di fare per via narrativa). Brass è un sadiano gentile (o lo è qui: "Monella" è un eros senza drammaticità): ama la macchina erotica, la moltiplicazione geometrica dei corpi e degli atti. C'è nell'ultimo cinema di Brass una tendenza alla riduzione della storia di fronte alla materialità dell'esibizione: per questo a mio parere "Fermo posta Tinto Brass" è il suo miglior film recente, tocca un punto di non ritorno con le sue storie evanescenti (il suo eros circolare da autoscatto); per lo stesso motivo "Monella" è più bello del più ambizioso "L'uomo che guarda". In questo film il racconto c'è, ma è lieve. "Monella" è lineare, giocoso (il gusto brassiano della provocazione qui si depura dalle scorie filosoficheggianti), eccessivo, anarchico (da notare l'omaggio a Jean Vigo). Una nota particolare merita, come tutto il cinmema di Brass, la musica. Brass ama accordare il movimento degli attori e l'andamento della narrazione all'elemento musicale diegetico; qui in particolare si sfrena nel magnifico numero di danza dei tre soldati, in una scenografia che l'inquadratura frontale e bilanciata rende quasi astratta, da musical. Il che ci fa pensare: che splendido musical erotico potrebbe realizzare Tinto Brass se ne avesse l'uzzolo - e i soldi!
Anche perché i film di Brass concretizzano sullo schermo un universo soggettivo quanto quelli di Fellini. Il loro richiamo al passato (in "Monella" i tardi anni '50), quel vero gusto del film in costume, non serve tanto a ricostruire filologicamente un'epoca - in "Paprika" ad esempio c'erano un paio di errori di messinscena da far venire i brividi - quanto a spostare più agevolmente il racconto in una dimensione mitica, a rendere l'utopia sessuale brassiana della seduzione ridente e infinita. "Luxe, calme et volupté".

(Il Friuli)

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