giovedì 17 gennaio 2008

The Legend of Zorro

Martin Campbell

Cosa farà il Corsaro Nero quando si sposa? Questo è il problema di tutti gli eroi. Perché il romanzo e il film d'avventura, quando non sono un "Bildungsroman", cioè racconto di formazione d'un adolescente come "L'isola del tesoro", si trovano sempre di fronte allo stesso problema: l'eroe dell'avventura dev'essere sempre uguale a se stesso; viceversa, il matrimonio e la vita familiare rappresentano un mutamento, una crescita, un passaggio di stato. Gli eroi sono sempre innamorati, ma metter su famiglia si oppone all'immagine eroica. Ammettiamolo: il matrimonio significa appendere la spada al chiodo.
Il vecchio Salgari, che se n'intendeva, risolveva la piccola questione facendo morire la sposa del protagonista fra un romanzo e l'altro; succede a Sandokan, succede a Tremal-naik; e di questo modo spiccio di mantenere l'eroe libero da legami troviamo tracce anche nel cinema. Nel capolavoro "Aquila Nera" (1946) del misconosciuto genio italiano Riccardo Freda, Rossano Brazzi si danna (nel cinema di Freda, poi!, che non è una passeggiata) per conquistare Irasema Dilian - però all'inizio del sequel "La vendetta di Aquila Nera" (1951) tutta la sua famiglia viene massacrata, lui parte in caccia, e così ha l'occasione di innamorarsi di nuovo. Qualcosa del genere accade a Sigourney Weaver fra lo stupendo "Aliens" di James Cameron e il discutibile "Alien 3" di David Fincher a proposito della bambina: la lotta per salvarla era il climax di "Aliens", ma nel film successivo muore per incidente nei primi cinque minuti.
Questa contraddizione matrimoniale è stata largamente esplorata nelle parodie (di recente, "Spy Kids" di Robert Rodriguez e il cartoon "Gli Incredibili"), ma ora l'assume in proprio un film eroico "serio", benché molto ironico: il lucido e piacevolissimo "The Legend of Zorro" di Martin Campbell. L'aspetto più divertente del film sono proprio i problemi coniugali di Zorro/Antonio Banderas con sua moglie Helena/Catherine Zeta-Jones, che vorrebbe che il marito smettesse di andare in giro a sciabolare mascherato (roba da scapoli) e passasse le serate in casa con la pipa in bocca aiutando il figlio a fare i compiti. La sceneggiatura costruisce un gustoso incrocio fra la definizione storica d'epoca, ottocentesca, e la contempotaneità culturale americana; e il rimpallo fra gli ottimi Banderas e Zeta-Jones apporta al film un elemento di "comedy" che vale da solo il prezzo del biglietto.
Campbell è un artigiano assai capace, che meriterebbe maggior fama; ha già rispolverato in modo eccellente James Bond con "Goldeneye", oltre che lo stesso Zorro con "La maschera di Zorro" del 1998 - di cui questo è un sequel ancora più libero, colmo di quell'ironia nel narrare che gli inglesi chiamano "tongue-in-cheek". Sono da citare la trasformazione di Zorro in icona pop già all'interno del film ("Zor-ro! Zor-ro!" acclama la folla lanciando i cappelli in aria), la trasformazione del figlio in un mini-Zorro che a scuola duella col maestro a colpi di stecca, e soprattutto l'indimenticabile cavallo Tornado, che se il caso gliene offre la possibilità si ubriaca insieme al padrone, fuma la pipa e, dopo il salto da una rupe sul tetto del treno in corsa, spalanca gli occhi preoccupato quando vede - prima di Zorro! - che stanno andando verso una galleria.
E' un film vitale e divertente, che trasporta il consueto cappa e spada in una dimensione alla James Bond, con tutti i "topoi" del genere, compresa una riunione dei cattivi in puro stile Spectre con tanto di esecuzione a sorpresa del membro deviazionista. Nondimeno, la modernizzazione non porta mai il film fuori dall'ortodossia del genere, proprio come il "tongue-in-cheek", pur arrivandoci a un passo, non cade nell'autoparodia. L'abile narrazione di Campbell provvede un efficace spettacolo (ottimi i due momenti di stile ultramoderno in cui i "villains" incontrano il meritato destino). Grazie a Martin Campbell, per Zorro non è ancora giunto il momento di appendere la spada al chiodo.

(Il Nuovo FVG)

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