Andrew Stanton e Lee Unkrich
Il problema fondamentale dei pesci è che hanno facce da stupido. Così di sicuro non li aiuta l’animazione “fredda” al computer della Pixar di John Lasseter, nella nuova proposta Disney-Pixar “Alla ricerca di Nemo”, diretto da Andrew Stanton e Lee Unkrich: per quanto avanzato sul piano tecnico, è il cartoon Pixar meno convincente finora (è perfino meglio, elementare ma gustoso, il semplicissimo “Knick Knack”, 1989, che lo precede come un reperto archeologico!).
L’umanizzazione dei pesci risulta vagamente realistica ma poco coinvolgente. Avrebbe funzionato meglio il disegno a tratto di penna dei vecchi cartoon Disney (sto pensando a “La carica dei 101”), con un’umanizzazione da caricatura inglese, un po’ alla Ronald Searle. Quella del film è psicologicamente debole: si prova difficoltà ad appassionarci veramente ai personaggi. Se non sul piano meramente narrativo, perché “Alla ricerca di Nemo” lavora su temi semplici e sperimentati: il pesce tropicale Marlin, aiutato dalla pesciolina Dory, arriva fino in Australia alla ricerca del figlioletto Nemo, portato via da un sub, e contemporaneamente Nemo cerca di evadere dall’acquario prima di finire regalato a una mostruosa bambina ammazza-pesci.
“Alla ricerca di Nemo” è un romanzo di formazione, com’è stato detto - però del padre. Marlin, un vedovo iperprotettivo (Nemo è l’unico superstite dei suoi figli, mangiati ancora uova dal predatore che ha ucciso sua moglie), avrà i suoi traumi e le sue ragioni ma è tratteggiato superficialmente e resta una figura insieme sgradevole e anodina; mal doppiata, poi, da un Luca Zingaretti che sembra sotto Valium. Gli manca la tradizionale capacità dei personaggi sfigati e paurosi della Disney di destare un senso di complicità nello spettatore. Suona bizzarro osservare che un pesce manca di virilità, ma tale è il carattere di questo rompiscatole petulante, e ben poco coinvolgente: un problema che si poteva superare solo avendo il coraggio di caricaturarlo maggiormente, facendone un nevrotico alla Woody Allen. Va detto che tutte le personalità (pescionalità?) del film sono disegnate stancamente. Il personaggio di gran lunga più riuscito è la smemoratissima Dory, cui toccano i pochi scherzi centrati d’un film non particolarmente spiritoso.
C’entra naturalmente anche il soffocante buonismo “politically correct” che attraversa il film. Ne sono un’illustrazione umoristicamente paradossale i tre squali che si allenano a non mangiare più pesci, in puro stile Alcolisti Anonimi, e che in chiusura si fanno portavoce dell’ultima (autentica) scemenza animalista americana: «I pesci sono amici, non cibo» (balle! I pesci sono cibo, e dannatamente buono anche; del resto mi piacerebbe sapere, entro l’universo diegetico del film, di cosa campano i tre). Non mancano avventure e inseguimenti, ma manca al racconto un vero “villain”: gli aggressori, o sono umani - alieni visti di scorcio in questo universo ittiocentrico - o creature meccaniche e decerebrate, come il pesce abissale (non a caso una delle figure migliori), le meduse, i gabbiani (una bella invenzione il loro verso «Mio! Mio!»).
Un paio di accenni di canzoni (in omaggio al realismo, diegetiche, cioè interne alla storia), assolutamente orribili, paiono un tenue rimasuglio del gusto musicale disneyano: ricordate il mare come scena di un sontuoso musical ne “La sirenetta”? Vale lo stesso per la goffa scena strappalacrime con Nemo che sembra morente alla fine; questo film è pieno di cascami, sopravvivenze disneyane, che fluttuano - già che siamo in argomento - come relitti sull’oceano. Certo, ci sono belle scenografie (il sommergibile affondato circondato di mine) e varie citazioni filmiche; ma a che giova?
Ma non perdiamoci d’animo. Tutto ciò che non è riuscito ad essere “Alla ricerca di Nemo” lo sarà (a giudicare dalle notizie e, quel che più conta, dalle prime immagini) “Sharkslayer” della concorrente DreamWorks. Stay tuned!
(Il Nuovo FVG)
sabato 12 gennaio 2008
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