sabato 8 novembre 2025

Dracula - L'amore perduto

Luc Besson  

È una vera doccia scozzese Dracula – L’amore perduto di Luc Besson, fra cadute imbarazzanti e aspetti riusciti (meno). Il motivo: incerto su quale direzione prendere, Besson (anche sceneggiatore) le sceglie tutte.
Già all’inizio lascia piuttosto perplessi la stupidità dei dialoghi relativi alla guerra contro i turchi, fra il pacifismo idiota di Elisabetta (“È necessaria questa guerra?”) e il discorso di Vlad al vescovo quando pretende da Dio che la guerra risparmi sua moglie – risciacquatura di piatti eccessiva anche per il XXI secolo, non diciamo neppure il XV. Ma si capisce tutto dall’armatura che i suoi uomini fanno indossare a Vlad: il film si ispira direttamente a Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola: Dracula rinnega Dio perché avergli tolto l’amata moglie Elisabetta e si strugge nei secoli cercando la sua reincarnazione, finché non la ritrova nell’Ottocento in Mina. Niente di male in questa derivazione (il film di Coppola è una pietra miliare), ma Besson vi aggiunge una strana ingenuità: un conto è rifare la storia, un conto – a mo’ di pudibonda ammissione? – copiare dei particolari e delle inquadrature di Coppola, in modo pedissequo quanto goffo (basta pensare alla scena della ribellione contro Dio o all’acconciatura con cui Dracula vecchio appare a Jonathan Harker); il che non solo è inutile ma danneggia il film.
Nella scena della battaglia contro i turchi, non si capisce perché Besson stacchi subito, visto che la descrizione degli scontri è la sua specialità (e infatti è efficace l’apparizione dei soldati sul crinale con le teste tagliate sulle lance). Muore Elisabetta, e Dracula uccide il vescovo e rifiuta Dio, con un super-coppolismo (quando alza le mani urlando a fine scena) da far pensare a un madonnaro che riproduce un quadro famoso coi gessetti. Stacco a quattrocento anni dopo, in una Parigi che si prepara a festeggiare il centenario della rivoluzione.
In questa sagra della cattiva recitazione, a partire dal protagonista, tengono su il film Christoph Waltz (non sorprende!) come prete vampirologo e la nostra Matilda De Angelis, spiritosa nel ruolo di un’allegra vampira. Quello che c’è di buono nel film di Besson è un certo gusto dell’ironia e del grottesco: vedi i gargoyle disneyani di servizio nel castello di Dracula, o la scena di Dracula nel convento con le suore possedute, a metà strada fra Ken Russell e il recente (mediocre) Dracula televisivo della BBC, o quella dell’eliminazione della donna vampiro. Nella stessa vena ironica, il dialogo contiene delle battute riuscite. Il medico sul ragazzo vampirizzato: “Stavo pensando di fargli una trasfusione” – Christoph Waltz con cortese freddezza: “Sono certo che la gradirebbe”. Quando scoprono alla fine la tomba di Dracula: “Una bara? Non ci dormirei mai” – Waltz: “Lo faremo tutti un giorno”.
Nel lungo flashback sulla vita di Dracula prima di ritrovare Elisabetta/Mina, raccontata a Jonathan Harker prigioniero, una svolta forse un po’ ingenua ma almeno originale è quella dell’invenzione del profumo, dove l’aspetto più notevole è che diventa un balletto! Peccato che, incrinando l’unità, resti un unicum nel film (e ci fa capire con improvvisa e assoluta evidenza che questo Dracula sarebbe stato più felice se fosse stato un musical).
Il finale è alquanto over-spoken – sarebbe irrispettoso ma non oltraggiosamente sbagliato dire che il prete sconfigge Dracula a forza di chiacchiere – ma almeno fornisce un’adeguata dose di romanticismo. Qui però bisogna dire chiaramente che Besson non raggiunge mai l’alto e dolente romanticismo del Dracula di Coppola.
In conclusione: ci sono stati vari Dracula (intendo quelli tratti dal romanzo) memorabili nella storia del cinema, ma il presente film si inserisce nella serie dei tentativi poco riusciti. Provaci ancora, Drac.

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