Luc Besson
È
una vera doccia scozzese Dracula – L’amore perduto di Luc Besson,
fra cadute imbarazzanti e aspetti riusciti (meno). Il motivo: incerto
su quale direzione prendere, Besson (anche sceneggiatore) le sceglie
tutte.
Già
all’inizio lascia piuttosto perplessi la stupidità dei dialoghi
relativi alla guerra contro i turchi, fra il pacifismo idiota di
Elisabetta (“È necessaria questa guerra?”) e il discorso di Vlad
al vescovo quando pretende da Dio che la guerra risparmi sua moglie –
risciacquatura di piatti eccessiva anche per il XXI secolo, non
diciamo neppure il XV. Ma si capisce tutto dall’armatura che i suoi
uomini fanno indossare a Vlad: il film si ispira direttamente a
Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola: Dracula
rinnega Dio perché avergli tolto l’amata moglie Elisabetta e si
strugge nei secoli cercando la sua reincarnazione, finché non la
ritrova nell’Ottocento in Mina. Niente di male in questa
derivazione (il film di Coppola è una pietra miliare), ma Besson vi
aggiunge una strana ingenuità: un conto è rifare la storia, un
conto – a mo’ di pudibonda ammissione? – copiare dei
particolari e delle inquadrature di Coppola, in modo pedissequo
quanto goffo (basta pensare alla scena della ribellione contro Dio o
all’acconciatura con cui Dracula vecchio appare a Jonathan Harker);
il che non solo è inutile ma danneggia il film.
Nella
scena della battaglia contro i turchi, non si capisce perché Besson
stacchi subito, visto che la descrizione degli scontri è la sua
specialità (e infatti è efficace l’apparizione dei soldati sul
crinale con le teste tagliate sulle lance). Muore Elisabetta, e
Dracula uccide il vescovo e rifiuta Dio, con un super-coppolismo
(quando alza le mani urlando a fine scena) da far pensare a un madonnaro che
riproduce un quadro famoso coi gessetti. Stacco a quattrocento anni
dopo, in una Parigi che si prepara a festeggiare il centenario della
rivoluzione.
In
questa sagra della cattiva recitazione, a partire dal protagonista,
tengono su il film Christoph Waltz (non sorprende!) come prete
vampirologo e la nostra Matilda De Angelis, spiritosa nel ruolo di
un’allegra vampira. Quello che c’è di buono nel film di Besson è
un certo gusto dell’ironia e del grottesco: vedi i gargoyle
disneyani di servizio nel castello di Dracula, o la scena di Dracula
nel convento con le suore possedute, a metà strada fra Ken Russell e
il recente (mediocre) Dracula televisivo della BBC, o quella
dell’eliminazione della donna vampiro. Nella stessa vena ironica,
il dialogo contiene delle battute riuscite. Il medico sul ragazzo
vampirizzato: “Stavo pensando di fargli una trasfusione” –
Christoph Waltz con cortese freddezza: “Sono certo che la
gradirebbe”. Quando scoprono alla fine la tomba di Dracula: “Una
bara? Non ci dormirei mai” – Waltz: “Lo faremo tutti un
giorno”.
Nel
lungo flashback sulla vita di Dracula prima di ritrovare
Elisabetta/Mina, raccontata a Jonathan Harker prigioniero, una svolta
forse un po’ ingenua ma almeno originale è quella dell’invenzione
del profumo, dove l’aspetto più notevole è che diventa un
balletto! Peccato che, incrinando l’unità, resti un unicum nel
film (e ci fa capire con improvvisa e assoluta evidenza che questo
Dracula sarebbe stato più felice se fosse stato un musical).
Il
finale è alquanto over-spoken – sarebbe irrispettoso ma non
oltraggiosamente sbagliato dire che il prete sconfigge Dracula a
forza di chiacchiere – ma almeno fornisce un’adeguata dose di
romanticismo. Qui però bisogna dire chiaramente che Besson non
raggiunge mai l’alto e dolente romanticismo del Dracula di Coppola.
In
conclusione: ci sono stati vari Dracula (intendo quelli tratti dal
romanzo) memorabili nella storia del cinema, ma il presente film si
inserisce nella serie dei tentativi poco riusciti. Provaci ancora,
Drac.

Nessun commento:
Posta un commento