Kore-eda Hirokazu
Per
coincidenza, due film usciti quest’anno parlano entrambi di
un’accusa mossa a un insegnante da parte di un allievo/allieva, il
che letteralmente terrorizza l’istituzione scolastica: Racconto di
due stagioni di Nuri Bilge Ceylan e L’innocenza di Kore-eda
Hirokazu. Altra coincidenza, alla visione del primo può sorgere
un’idea, no, un sospetto di manierismo rispetto ai suoi film
precedenti; nel secondo, si tratta di più che un sospetto. In ogni
modo, resta un film notevole.
Ne L'innocenza (il cui titolo originale è
Kaibutsu/Monster) la struttura narrativa è complessa. In un
movimento progressivo che ha qualcosa di solenne, il film racconta
tre volte la stessa storia (le immagini dei pompieri e di un incendio
fanno da punto di ri/partenza) ampliandola da un diverso punto di
vista e aggiungendovi particolari decisivi. C’era da scommetterci
che nelle recensioni qualcuno avrebbe tirato fuori Rashomon di
Kurosawa Akira, che è una dolorosa meditazione sull’insincerità,
mentre è più giusto dire che L'innocenza allarga sul piano del
racconto un meccanismo che conosciamo bene in Kore-eda: la faticosa
“ridefinizione” della percezione di una persona in una nuova
comprensione di essa; un meccanismo che qui viene trasferito dai
personaggi (per esempio quelli di Ritratto di famiglia con tempesta o
Still Walking o Le verità) direttamente allo spettatore.
È,
quella del racconto, una vérité che emerge in tre movimenti, da
un’apparente semplicità, attraverso successivi approfondimenti,
che impostano da un lato un giudizio sulla comprensibilità delle
cose – attenzione: Kore-eda non è uno scettico, è un fenomenologo
– e dall’altro un’osservazione, motivo tipico dell’autore, si
come la nostra soggettività si smarrisca e si perda a fronte
dell’intrico delle altre, e dei fatti. Sembra la storia di un
ragazzino tormentato da un insegnante (la madre vedova indignata è
la grande attrice Ando Sakura), poi si allarga all’ombra del
bullismo (“Chi è il mostro?”), poi esplode letteralmente in un
rapporto di omofilia fra due preadolescenti dal dolore taciuto, un
rapporto tratteggiato con la penetrazione psicologica propria di
Kore-eda e parimenti con il suo senso poetico (sì, l’analogia con
Miyazaki che è stata individuata c’è; ma conviene ricordare che
risponde a una vena presente in tutto il cinema kore-ediano, e basta
pensare agli “animali magici” che vi appaiono, le farfalle e le
lucciole – ma anche un rospo).
Il
tema su cui più insiste Kore-eda è la famiglia, intesa come
comunità di affetti più che come consanguineità (cfr. Un affare di
famiglia, titolo anodino per The Shoplifters). Facile osservare che
le sfuriate di Ando Sakura contro il gruppo preside-insegnanti della
scuola attaccano proprio il fatto che non si comporta come una vera
comunità (educativa) ma è tutta formalismo e menzogna. In effetti
questo personale scolastico, preoccupato soltanto dell’immagine
della scuola (al punto di gettare ai lupi uno di loro sapendolo
innocente), non è moralmente migliore di un gruppo di yakuza. Si
suol dire che i giapponesi sentono la pressione sociale più degli
altri; ma nella descrizione della scuola la spinta al conformismo
supera ogni limite; e nonostante un dettaglio indovinatissimo (senza
spoiler: la fotografia sulla scrivania della preside) si ha la netta
impressione che qui nella sceneggiatura di Sakamoto Yuji si veda
un’ansia “didattica” per la quale Kore-eda non è portato.
Mentre
è più che portato, naturalmente, per introdurre le nuances del
comportamento e le piccole ambigue rivelazioni del dialogo, per la
splendida direzione degli attori (la moltiplicazione dei punti di
vista gli consente di trarre il massimo dagli interpreti, a partire
dai due ragazzini), e per instaurare quel suo tempo-non tempo che gli
consente di far sorgere il racconto dal fluire della vita più che da
momenti di rottura drammaturgica. O per essere più precisi: ne
L’innocenza la drammaturgia c’è, e perfino la suspense, del
resto connaturata alla struttura di conoscenza progressiva;
nondimeno, i “punti di crisi”, che in molti film dell’autore
(non tutti) venivano elisi, qui vengono depotenziati.
Kore-eda
è un regista non solo di temi ma di elementi ritornanti. I
conoscitori del suo cinema ne ritroveranno molti, comprese la
curiosità per la morte, i funerali e la reincarnazione, o le
“filosofie” (grande, qui, quella sull’inversione del tempo) –
o il tifone. Kore-eda, lo sappiamo, ama i tifoni. In una vecchia
intervista diceva, all’incirca, che puliscono l'aria. Anche ne
L’innocenza il tifone, certo spaventoso, si carica di un
valore metaforico: rappresenta la possibilità di una rinascita.
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