venerdì 30 agosto 2024

L'innocenza

Kore-eda Hirokazu

Per coincidenza, due film usciti quest’anno parlano entrambi di un’accusa mossa a un insegnante da parte di un allievo/allieva, il che letteralmente terrorizza l’istituzione scolastica: Racconto di due stagioni di Nuri Bilge Ceylan e L’innocenza di Kore-eda Hirokazu. Altra coincidenza, alla visione del primo può sorgere un’idea, no, un sospetto di manierismo rispetto ai suoi film precedenti; nel secondo, si tratta di più che un sospetto. In ogni modo, resta un film notevole.
Ne L'innocenza (il cui titolo originale è Kaibutsu/Monster) la struttura narrativa è complessa. In un movimento progressivo che ha qualcosa di solenne, il film racconta tre volte la stessa storia (le immagini dei pompieri e di un incendio fanno da punto di ri/partenza) ampliandola da un diverso punto di vista e aggiungendovi particolari decisivi. C’era da scommetterci che nelle recensioni qualcuno avrebbe tirato fuori Rashomon di Kurosawa Akira, che è una dolorosa meditazione sull’insincerità, mentre è più giusto dire che L'innocenza allarga sul piano del racconto un meccanismo che conosciamo bene in Kore-eda: la faticosa “ridefinizione” della percezione di una persona in una nuova comprensione di essa; un meccanismo che qui viene trasferito dai personaggi (per esempio quelli di Ritratto di famiglia con tempesta o Still Walking o Le verità) direttamente allo spettatore.
È, quella del racconto, una vérité che emerge in tre movimenti, da un’apparente semplicità, attraverso successivi approfondimenti, che impostano da un lato un giudizio sulla comprensibilità delle cose – attenzione: Kore-eda non è uno scettico, è un fenomenologo – e dall’altro un’osservazione, motivo tipico dell’autore, si come la nostra soggettività si smarrisca e si perda a fronte dell’intrico delle altre, e dei fatti. Sembra la storia di un ragazzino tormentato da un insegnante (la madre vedova indignata è la grande attrice Ando Sakura), poi si allarga all’ombra del bullismo (“Chi è il mostro?”), poi esplode letteralmente in un rapporto di omofilia fra due preadolescenti dal dolore taciuto, un rapporto tratteggiato con la penetrazione psicologica propria di Kore-eda e parimenti con il suo senso poetico (sì, l’analogia con Miyazaki che è stata individuata c’è; ma conviene ricordare che risponde a una vena presente in tutto il cinema kore-ediano, e basta pensare agli “animali magici” che vi appaiono, le farfalle e le lucciole – ma anche un rospo).
Il tema su cui più insiste Kore-eda è la famiglia, intesa come comunità di affetti più che come consanguineità (cfr. Un affare di famiglia, titolo anodino per The Shoplifters). Facile osservare che le sfuriate di Ando Sakura contro il gruppo preside-insegnanti della scuola attaccano proprio il fatto che non si comporta come una vera comunità (educativa) ma è tutta formalismo e menzogna. In effetti questo personale scolastico, preoccupato soltanto dell’immagine della scuola (al punto di gettare ai lupi uno di loro sapendolo innocente), non è moralmente migliore di un gruppo di yakuza. Si suol dire che i giapponesi sentono la pressione sociale più degli altri; ma nella descrizione della scuola la spinta al conformismo supera ogni limite; e nonostante un dettaglio indovinatissimo (senza spoiler: la fotografia sulla scrivania della preside) si ha la netta impressione che qui nella sceneggiatura di Sakamoto Yuji si veda un’ansia “didattica” per la quale Kore-eda non è portato.
Mentre è più che portato, naturalmente, per introdurre le nuances del comportamento e le piccole ambigue rivelazioni del dialogo, per la splendida direzione degli attori (la moltiplicazione dei punti di vista gli consente di trarre il massimo dagli interpreti, a partire dai due ragazzini), e per instaurare quel suo tempo-non tempo che gli consente di far sorgere il racconto dal fluire della vita più che da momenti di rottura drammaturgica. O per essere più precisi: ne L’innocenza la drammaturgia c’è, e perfino la suspense, del resto connaturata alla struttura di conoscenza progressiva; nondimeno, i “punti di crisi”, che in molti film dell’autore (non tutti) venivano elisi, qui vengono depotenziati.
Kore-eda è un regista non solo di temi ma di elementi ritornanti. I conoscitori del suo cinema ne ritroveranno molti, comprese la curiosità per la morte, i funerali e la reincarnazione, o le “filosofie” (grande, qui, quella sull’inversione del tempo) – o il tifone. Kore-eda, lo sappiamo, ama i tifoni. In una vecchia intervista diceva, all’incirca, che puliscono l'aria. Anche ne L’innocenza il tifone, certo spaventoso, si carica di un valore metaforico: rappresenta la possibilità di una rinascita.