giovedì 8 febbraio 2024

Ambin - La roccia e la piuma

Fredo Valla

Il massiccio dell’Ambin, “cuore bianco della Valle di Susa”, tra il Piemonte e la Francia, è protagonista dell’ultimo film di Fredo Valla, il bellissimo documentario Ambin – La roccia e la piuma, che si può vedere in rare fortunate occasioni di proiezione. A Udine è stato presentato al cinema Visionario venerdì 2 febbraio.
Fredo Valla è regista di eccellenti documentari (oltre che sceneggiatore: cito solo Il vento fa il suo giro e Lubo, entrambi di Giorgio Diritti) ma il suo documentarismo è diverso da quello tradizionale. All’istanza ordinatrice autoritaria della voce narrante, Valla preferisce sostituire una pluralità di voci, un mosaico. Il suo metodo è quello del collage di interventi/dichiarazioni, e ciò dà all’opera una particolarissima veridicità. Spesso la sua scelta è quella di ancorarsi a un personaggio che crea una continuità narrativa su cui s’innesta il discorso: come Giorgio Conte in Plus haut que les nuages o Pietro Spirito in Medusa – Storie di uomini sul fondo o, a un livello più complesso, lui stesso come soggetto peregrinante in Bogre – La grande eresia europea. Non in Ambin dove abbiamo solo una ritmata, fascinosa, convincente polifonia di voci che crea la sensazione viva dell’esistenza e della memoria. Tutte queste voci danno l'impressione che l’oggetto di film “si costruisca da sé”. Ovviamente il documentario è sempre uno sguardo non incorporeo sul mondo: è sempre la mediazione di un autore (questo raggiunge la sua reductio ad absurdum nel documentario-pamphlet alla Michael Moore). Peraltro, anche se l’elemento ordinatore dello sguardo autoriale è ineliminabile, in Ambin esso è mediato da una sorta di disponibilità che mette in primo piano la montagna sui due piani, diacronico e sincronico, dell’esistenza.
Di solito i film sulla montagna (senza riandare ai Bergfilme tedeschi, menziono il sottovalutato Grido di pietra di Werner Herzog) tendono alla vetta, punto di arrivo. Certamente, come dice Fredo Valla, questo si lega spesso al concetto della montagna violata, quasi un discorso di stupro come atto simbolico. Ma se il film è il sogno della conquista della vetta, la montagna in sé diventa il luogo di un percorso, il momento della contraddizione: vale principalmente come ostacolo. Invece in Ambin la montagna appare per sé. E la cima (i Denti) non è conquistata se non nel senso ludico del gruppo di highliners alla fine – il che non nega né l’elemento di inevitabile suspense che proviamo sempre davanti a simili spettacoli né l'aspetto incantato che li circonda (l’aurora). Nel loro camminare sul filo sopra l’abisso, o anche stendersi per gioco a fingere di dormire, vediamo realizzarsi quell'antitesi fra il pieno e il vuoto, il massiccio e il volatile, la roccia e la piuma, postulata dal (sotto)titolo.
Un grande lavoro di fotografia, che si avvale anche di riprese col drone e dall’elicottero, rende la bellezza materiale, fisica, “tangibile” della montagna. In molti dettagli, per esempio l’elemento insieme concreto e visionario delle statue di Santi nel buio, si riconosce l’autore di Bogre – La grande eresia europea. Riguardo all’ordine espositivo, il percorso è divagante, poetico, e il montaggio, che ama talvolta i raccordi per contrasto, lo riflette. Lasciando la parola a Valla stesso: “ho cercato… un approccio diverso al tema, vorrei dire più lirico, dove quella sorta di Sahel alpino (complice la siccità) che è il Massiccio d'Ambin, con i pochi ghiacciai rimasti simili a tele di Hartung, attraversati da segni profondi, assumessero un significato diverso (quello dell'antropologo all'inizio del film). Poi, escludendo la voce off che non mi è congeniale, ho voluto che a raccontare il Massiccio e il rapporto con la montagna fosse la gente che ci vive attorno, in una sorta di montaggio che definirei espressionista” (lettera di Fredo Valla a chi scrive).
Gli interventi, sarebbe riduttivo chiamarli interviste, sono sempre interessanti e spesso assai illuminanti, o per l’aspetto scientifico o filosofico (bellissimo per esempio il discorso sul significato delle croci in cima alle montagne), o per la concretezza umana (i due malgari) o per una qualità di “meraviglia” che crea una pagina magica (la visita alla galleria, scavata da un Colombano nel Cinquecento). Anche l’intervento della giovane donna nel rifugio esprime in modo intrigante il concetto “alternativo” di viaggio, come continua conoscenza del percorso, rispetto alla linea retta dell’aereo; si può trovare invece retorico (iper-semplificatorio) il suo discorso, quando prosegue, sull’insensatezza delle frontiere, ma anche questo, come credo dicano i giovani, “ci sta”. La scelta di non mettere le didascalie che permettano di dare un nome alla persona che parla è una scelta radicale ma centrata, perché contribuisce a una fluidità discorsiva che lo apparenta in qualche modo allo scorrere della vita (dove parliamo con centinaia di persone ma non vediamo didascalie). Forse nei titoli di coda sarebbe stato opportuno che i nomi, anziché sul nero, apparissero accanto all'immagine relativa del film, in modo da attivare la memoria dello spettatore.
Sui due assi del presente e della memoria, la forza della storia umana – il senso profondo delle croci alpine, i ricordi del passato, dalla Glorieuse Rentrée dei valdesi nel XVII secolo al vecchio forte italiano bombardato dagli italiani per sperimentare i progressi dell'artiglieria, l'ingegneria umana, la piccola cronaca sugli animali scomparsi – si incrocia con l’altra dimensione del tempo, quella della montagna. Perché, se noi “viviamo la montagna”, la montagna vive come noi – ma questa sua vita si esprime in una dimensione temporale del tutto diversa: ere geologiche contro i nostri brevi anni; e potremmo dire che anche nella dialettica fra la “lentezza” possente della montagna e l'immediatezza transeunte delle vite umane ancora si ritrova l'endiadi del sottotitolo, la roccia e la piuma. Qui la geologia, sulla quale il documentario insiste, entra perfettamente, perché è una descrizione dell’“anatomia dell’Ambin”, fonda quel modo di renderlo personaggio su cui s’impernia il discorso.


Nessun commento: