giovedì 15 febbraio 2024

Green Border

Agnieszka Holland

Preparate i fazzoletti. "Green Border" di Agnieszka Holland presenta l’odissea dei rifugiati fra Bielorussia e Polonia, seguendo una famiglia siriana, più un’intellettuale afghana con loro, nel 2021. Sono stati attirati in Bielorussia dal dittatore Lukashenko per scaraventarli dentro le frontiere europee, come arma impropria nella guerra mondiale a pezzi contro l’Occidente. Pesantemente maltrattati di qua e di là, vengono spediti in segreto dai bielorussi in Polonia e rispediti in segreto dai polacchi in Bielorussia: povera gente buttata a calci da una parte all'altra, come una palla da tennis. L'"imagerie" del film usa come modello i rastrellamenti e i lager nazisti.
Ultra-didattico, il film non ha grandi meriti artistici, a parte la bella fotografia, ma è decisamente commovente sui patimenti di queste vittime. Vale sempre il verso di Dante: “E se non piangi, di che pianger suoli?” Peraltro Agnieszka Holland rifiuterebbe una valutazione di tipo estetico: il suo è un film militante.
Sul piano narrativo "Green Border" si divide fra i due mondi, i migranti e i polacchi. La parte sui migranti è convincente: personaggi semplici ma credibili, e ben interpretati; si crea un’adesione umana che li fa seguire con partecipazione. Se tutto il film fosse stato narrato dal loro punto di vista ne sarebbe uscito un film di rilievo. Ma quando Holland rappresenta l’altra parte, divisa nettamente in cattivi (una Polonia para-nazista) e buoni (pochi polacchi che fanno resistenza clandestina), tutte le caratterizzazioni diventano prevedibili e stereotipate, non solo dalla parte dei cattivi (normale amministrazione cinematografica) ma anche da quella dei buoni. Agnieszka Holland avrebbe qualcosa da imparare – e parliamo sempre di cinema a forte impronta didattica – dal Ken Loach di "The Old Oak". 

(Messaggero Veneto)

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