Christopher Nolan
A
un certo punto di Oppenheimer, l’ammirevole film scritto e diretto
da Christopher Nolan e interpretato da Cillian Murphy, il giovane
fisico visita una mostra di pittura cubista. Ciò ha lo scopo di
porre l'analogia fra la rivoluzione estetica novecentesca e l’analoga
rivoluzione nella fisica: ossia nella concezione del mondo. Ma si
potrebbe osservare che c’è di più. Proprio come il cubismo
presentava il suo oggetto – che fosse Dora Maar o un semplice
serbatoio d'acqua – sotto diversi punti di vista compresenti,
Oppenheimer fa lo stesso col tempo narrativo. Contiene vari segmenti
della vita del protagonista, o correlati, dal 1926 al 1959: il
giovane Oppenheimer, il progetto Manhattan con l'esplosione della
bomba atomica, le udienze del 1954 quando l’Atomic Energy
Commission gli nega la clearance di sicurezza, le udienze (in b/n)
sulla mancata conferma del suo nemico Lewis Strauss come Segretario
al commercio nel 1959. Ora, questi segmenti sono così intrecciati,
e i passaggi così liberi e sciolti, che lo spettatore ha
l’impressione, non di vedere un racconto che fluisce (sia pure
permettendosi di tornare indietro in flashback), bensì di vedere la
coesistenza contemporanea di varie linee temporali: una sorta di
cubismo narrativo. Occorre ricordare qui che la questione del tempo
sta al cuore di tutto il cinema di Nolan?
Parallelamente, è sul concetto di realtà percepita che il cinema di Nolan
si interroga. Qui viene in taglio la fisica quantistica, che ha messo
in forse la nostra stessa concezione della materia (in una bella
scena Oppenheimer lo spiega partendo da quello che consideriamo il
massimo della concretezza, la sua stessa mano). Così, questo è un
film quintessenzialmente nolaniano.
Col
suo magnifico montaggio di frammenti minimi che inframmezzano il
discorso, e che vanno dal micro dei cerchi nell'acqua sotto la
pioggia al macro delle esplosioni, Oppenheimer è un ottimo esempio
di film che rende il processo del pensiero con mezzi esclusivamente
cinematografici. Ma non bisogna pensare che il suo valore narrativo
si esaurisca nel tratto stilistico. Un’affascinante libertà fa
capolino nella messa in scena rappresentando un’irruzione della
soggettività: penso per esempio alla scena in cui, durante
l’audizione all’A.E.C., Oppenheimer è costretto a parlare in
presenza della moglie di un suo rapporto sessuale con l’amante Jean
Tatlock – e, restando fissa la messa in scena dell’ufficio
dell’audizione, come pure i presenti, li vediamo nudi sopra la
stessa sedia su cui lui sta testimoniando. E’ una forma di
formulazione simbolica-impressionistica del flashback non inedita, ma
qui Nolan la porta all’estremo.
Supportato
da eccellenti interpretazioni, da Cillian Murphy in giù, Oppenheimer
traccia un magnifico ritratto dell’eroe eponimo. Due volte
sentiamo, per bocca del protagonista, che legge il sanscrito, il
versetto della Bhagavad Gita “Ora
sono diventato morte – il distruttore di mondi”. Già
in Tenet si menzionava Oppenheimer in relazione al rischio teorico
che la prima fissione nucleare diventasse inarrestabile, distruggendo
il mondo: qui questa ipotesi è attribuita ai calcoli di Edward
Teller e Oppeheimer dice che Teller si sbaglia – ma che le
probabilità di un simile evento sono non eguali a zero ma “quasi
zero”. Come
gli eroi shakespeariani, coi quali ha molto in comune, nel
ritratto potente e storicamente puntuale di Nolan il “padre
della bomba atomica” mantiene
un’“ambiguità
eroica”,
un’irriducibilità
a una spiegazione univoca
– vale
a dire, a una
caratterizzazione didattico-morale
di
quelle che
vengono chieste
di solito a
un
biopic.
Ha
una “zona d’ombra”, che persiste
nella visione
(perché
questo è un film da rivedere),
e
che attinge direttamente alla nostra natura
umana.
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