sabato 19 novembre 2022

Il piacere è tutto mio

Sophie Hyde

Contrariamente a quel che molti pensano, il cinema di dialogo in un ambiente fisso, d’impianto teatrale, può ben funzionare anche quando si tralascia il diffuso artificio di “aprire” con scene in esterni. Ve ne sono tanti esempi ma siccome attualmente gira nei cinema una retrospettiva di Rainer Werner Fassbinder, basterà menzionare lo splendido Le lacrime amare di Petra von Kant. E’ tutta questione di capacità: della regia di vivificare il movimento in un ambiente fisso e degli attori di tener su la tensione scenica. Più d’un gradino sotto Fassbinder, è il caso del discreto Il piacere è tutto mio (stupido titolo italiano per Good Luck to You, Leo Grande – che per la verità è meno ammiccante ma anch'esso irrimediabilmente anodino). Si tratta di un’operina “a due”, scritta dall’attrice e sceneggiatrice Katy Brand e diretta con sensibilità da Sophie Hyde.
La vedova cinquantacinquenne Nancy (Emma Thompson), ex insegnante di religione che ha un rapporto difficile con la propria sessualità, decide di concedersi un incontro di passione – poi saranno più d’uno – con un giovane gigolò, ovvero escort, Leo (Daryl McCormack). Ovviamente questi incontri in camera d’albergo diventano un lungo dialogo. E’ sotteso al film il tema della finzione nei ruoli (“Tu non paghi per la verità, paghi per una fantasia”); e i nomi coi cui si presentano non sono quelli veri. C’è da dire che Leo è un vero psicologo, non solo nel senso dell’empatia ma nel senso proprio della capacità di interrogare e intuire; il che è un po’ artificioso, ma necessario all'impianto del testo. Il dialogo è vivace e anche brillante (“empiricamente sexy”), e le due caratterizzazioni sono vivide, con una passabile profondità nel caso della donna. Senza sorpresa, Emma Thompson è eccezionale, ma anche McCormack è assai bravo.
Di solito questo genere di film si sviluppa come un jeu de massacre nel quale vengono dolorosamente fuori tutti i lati oscuri e segreti della personalità. Nel presente film, altarini, paure e tabù vengono sì rivelati, ma con una sorta di levità. A dire il vero non manca il prevedibile momento di drammone (con la pioggia che batte sui vetri: al cinema nove volte su dieci la pioggia è segno di sventura) – e qui il film è vicino all’andare a rotoli, ma per fortuna recupera con una torsione finale, in una scena che “apre” al bar dell'albergo (introducendo di scorcio l’unico altro personaggio, la cameriera Becky) e torna a un tono medio, fondamentalmente feel good.
Si è parlato molto del famoso nudo di Emma Thompson alla fine, ma invero quello che si fa apprezzare del film è la sua visione positiva della sessualità, rinfrescante in questi tempi di neopuritanesimo e intolleranza.

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