Pawo Choyning Dorji
“Non
recitare mai con cani e bambini, ti rubano la scena”. Questa
massima semiseria degli attori hollywoodiani probabilmente nel Bhutan
suona “Non recitare mai con yak e bambini”, ma non è meno vera.
E infatti i bambini rubano la scena nel semplice e piacevole Lunana
– Il villaggio alla fine del mondo, un raro film che ci arriva
dal Bhutan; e c’è anche lo yak, tant’è vero che il titolo
internazionale è A Yak in the Classroom (“Uno yak
nell’aula”). Lo sceneggiatore e regista esordiente, Pawo Choyning
Dorji, è stato assistente alla regia e anche produttore del famoso
lama e regista bhutanese Khyentse Norbu (La coppa, Viaggiatori
e maghi, Hema Hema).
Volar
via nel vento della globalizzazione o seguire i valori tradizionali?
Il protagonista Ugyen (l’insegnante meno motivato di tutto il
Bhutan, lo rimprovera una dirigente) non avrebbe problemi a
rispondere, finché vive in città: e infatti progetta di andare a
fare il cantante in Australia. Ma viene trasferito a fare il maestro
in un villaggio gelido e povero di 56 abitanti a 4800 metri di quota,
Lunana (che esiste veramente, e gli abitanti compaiono nel film);
qui, in un posto dove il gabinetto è fuori dalle case e non si usa
la carta igienica, e dove il fuoco si accende con lo sterco secco di
yak, la sua visione delle cose cambia. Compie anche il gesto
deamicisiano di usare la carta delle finestre (sono troppo poveri per
il vetro!) perché i bambini possano esercitarsi a scrivere. E quando
se ne va, promette di tornare.
Favorito
da una bella fotografia (non soltanto di spettacolari panorami), però
con un montaggio un po’ scolastico, Lunana è un film molto
umano, che arriva a commuovere. C’è una realtà sincera in questi
visi di semplici contadini (e c’è una sorpresa legata al concetto
di reincarnazione). Anche se il film non ha intenti documentaristici,
veniamo introdotti alle credenze locali e a una vera e propria
cultura che gira intorno allo yak; non senza un’attenzione alla
musica tradizionale (“Il virtuoso yak Ladhar” è il titolo della
canzone che la bella Saldon insegna a Ugyen).
Shangri-La
nel Bhutan? Invero, nonostante
l’impegno edificante il film non trascura fenomeni come
l’ubriachezza. Anche
se non vediamo furti, aggressioni, rotture di famiglie, il contesto
non le rende impossibili come accadrebbe in un film zuccheroso.
Naturalmente
i bambini, bellissimi, portano un tocco particolare
di
tenerezza, e difficilmente dimenticheremo la tostissima capoclasse
Pem Zam. Che, vediamo nei titoli di coda, si chiama proprio Pem Zam –
e questo interpretare se stessa è un esempio di quell’autenticità
più o meno neorealista che è il dono del film.
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