sabato 9 aprile 2022

Lunana - Il villaggio alla fine del mondo

Pawo Choyning Dorji

Non recitare mai con cani e bambini, ti rubano la scena”. Questa massima semiseria degli attori hollywoodiani probabilmente nel Bhutan suona “Non recitare mai con yak e bambini”, ma non è meno vera. E infatti i bambini rubano la scena nel semplice e piacevole Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, un raro film che ci arriva dal Bhutan; e c’è anche lo yak, tant’è vero che il titolo internazionale è A Yak in the Classroom (“Uno yak nell’aula”). Lo sceneggiatore e regista esordiente, Pawo Choyning Dorji, è stato assistente alla regia e anche produttore del famoso lama e regista bhutanese Khyentse Norbu (La coppa, Viaggiatori e maghi, Hema Hema).
Volar via nel vento della globalizzazione o seguire i valori tradizionali? Il protagonista Ugyen (l’insegnante meno motivato di tutto il Bhutan, lo rimprovera una dirigente) non avrebbe problemi a rispondere, finché vive in città: e infatti progetta di andare a fare il cantante in Australia. Ma viene trasferito a fare il maestro in un villaggio gelido e povero di 56 abitanti a 4800 metri di quota, Lunana (che esiste veramente, e gli abitanti compaiono nel film); qui, in un posto dove il gabinetto è fuori dalle case e non si usa la carta igienica, e dove il fuoco si accende con lo sterco secco di yak, la sua visione delle cose cambia. Compie anche il gesto deamicisiano di usare la carta delle finestre (sono troppo poveri per il vetro!) perché i bambini possano esercitarsi a scrivere. E quando se ne va, promette di tornare.
Favorito da una bella fotografia (non soltanto di spettacolari panorami), però con un montaggio un po’ scolastico, Lunana è un film molto umano, che arriva a commuovere. C’è una realtà sincera in questi visi di semplici contadini (e c’è una sorpresa legata al concetto di reincarnazione). Anche se il film non ha intenti documentaristici, veniamo introdotti alle credenze locali e a una vera e propria cultura che gira intorno allo yak; non senza un’attenzione alla musica tradizionale (“Il virtuoso yak Ladhar” è il titolo della canzone che la bella Saldon insegna a Ugyen).
Shangri-La nel Bhutan? Invero, nonostante l’impegno edificante il film non trascura fenomeni come l’ubriachezza. Anche se non vediamo furti, aggressioni, rotture di famiglie, il contesto non le rende impossibili come accadrebbe in un film zuccheroso. Naturalmente i bambini, bellissimi, portano un tocco particolare
di tenerezza, e difficilmente dimenticheremo la tostissima capoclasse Pem Zam. Che, vediamo nei titoli di coda, si chiama proprio Pem Zam – e questo interpretare se stessa è un esempio di quell’autenticità più o meno neorealista che è il dono del film.

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