Sian Heder
Adesso
immaginiamo che gli accademici di Stoccolma impazziscano e diano il
Premio Nobel per la letteratura a Umberto
Tozzi. Smetteremmo,
a causa di questa
evidente
sproporzione,
di canticchiare Gloria?
Certamente no; anzi,
diventerebbe ancora più famosa; eppure
sul web Tozzi verrebbe fatto
a pezzi più del giusto.
Succede sempre a chi viene beneficiato sopra i suoi meriti.
Questo
per dire che CODA – I segni del cuore,
che ha assurdamente vinto
l’Oscar
per il miglior film in nome
di quella
peculiare
stupidità americana che è il “politicamente
corretto”, non è un
film brutto in
assoluto: è semplicemente modesto, quasi
un tv movie. Remake
del francese La famiglia Belier,
questa co-produzione
franco-americana è
un piccolo
film che
fonde nel racconto una serie di linee narrative tradizionali: lo
sforzo per il successo nel
canto, con
tutto il discorso sulla morale dell'impegno, direttamente
derivati
da Saranno famosi; il
film di rapporti familiari, con l’adolescente che vuol cercare la
propria strada; la storia
d’amore alla high school,
non
senza l’inevitabile
accenno al bullismo (è la parte più banale,
ma fortunatamente assai
ridotta); il liberalismo
americano, per cui i pescatori del film si ribellano ai
grossisti e cominciano
a vendere, con successo,
il pescato da soli; e in primo
luogo
– ecco
il solo
tratto di originalità di
CODA – il discorso
sui non udenti. La
protagonista Ruby (la
brava Emilia Jones)
è figlia di non udenti (questo
significa l’acronimo CODA)
ed è unica
della famiglia a non esserlo.
La sua vita coi genitori e il
fratello, esprimendosi nella lingua dei segni, è il
motivo di reale interesse del film, che qui trova i suoi momenti di
autenticità (gli interpreti, salvo
Emilia Jones, sono veramente
sordi, a differenza che nel film francese) e
la sua giustificazione.
La
scelta di non tradurre in didascalia le cose che si dicono in tale
linguaggio può avere un senso (sebbene, ammettiamolo, sia fatta in
realtà perché il pubblico medio non ama le didascalie), in quanto
isola il loro mondo di sordi e focalizza ancora di più la nostra
attenzioni su di esso. D’altra
parte, è una scelta
escludente, che
va contro il concetto stesso di linguaggio. Infatti quando Emilia
Jones, nel dialogo coi
personaggi dei familiari,
dice una battuta che la
sceneggiatura ritiene necessaria
anche per gli spettatori, è costretta a enunciarla anche a voce, e
questo dà
un’idea di finto.
In
ogni modo, la
scena in cui, mentre Ruby canta sul palco con
la famiglia in platea,
il sonoro svanisce e così
anche noi spettatori siamo
precipitati nella bolla di silenzio della sordità è di gran lunga
la migliore del film. Che poi
CODA abbia vinto
l’Oscar in un’edizione in cui era in competizione – per esempio
– il magnifico
Licorice Pizza di Paul Thomas
Anderson, grida vendetta al
cielo e questo nessuno lo negherà.
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