sabato 2 aprile 2022

CODA - I segni del cuore

Sian Heder

Adesso immaginiamo che gli accademici di Stoccolma impazziscano e diano il Premio Nobel per la letteratura a Umberto Tozzi. Smetteremmo, a causa di questa evidente sproporzione, di canticchiare Gloria? Certamente no; anzi, diventerebbe ancora più famosa; eppure sul web Tozzi verrebbe fatto a pezzi più del giusto. Succede sempre a chi viene beneficiato sopra i suoi meriti. 
Questo per dire che CODA – I segni del cuore, che ha assurdamente vinto l’Oscar per il miglior film in nome di quella peculiare stupidità americana che è il “politicamente corretto”, non è un film brutto in assoluto: è semplicemente modesto, quasi un tv movie. Remake del francese La famiglia Belier, questa co-produzione franco-americana è un piccolo film che fonde nel racconto una serie di linee narrative tradizionali: lo sforzo per il successo nel canto, con tutto il discorso sulla morale dell'impegno, direttamente derivati da Saranno famosi; il film di rapporti familiari, con l’adolescente che vuol cercare la propria strada; la storia d’amore alla high school, non senza l’inevitabile accenno al bullismo (è la parte più banale, ma fortunatamente assai ridotta); il liberalismo americano, per cui i pescatori del film si ribellano ai grossisti e cominciano a vendere, con successo, il pescato da soli; e in primo luogo ecco il solo tratto di originalità di CODA – il discorso sui non udenti. La protagonista Ruby (la brava Emilia Jones) è figlia di non udenti (questo significa l’acronimo CODA) ed è unica della famiglia a non esserlo. La sua vita coi genitori e il fratello, esprimendosi nella lingua dei segni, è il motivo di reale interesse del film, che qui trova i suoi momenti di autenticità (gli interpreti, salvo Emilia Jones, sono veramente sordi, a differenza che nel film francese) e la sua giustificazione.
La scelta di non tradurre in didascalia le cose che si dicono in tale linguaggio può avere un senso (sebbene, ammettiamolo, sia fatta in realtà perché il pubblico medio non ama le didascalie), in quanto isola il loro mondo di sordi e focalizza ancora di più la nostra attenzioni su di esso. D’altra parte, è una scelta escludente, che va contro il concetto stesso di linguaggio. Infatti quando Emilia Jones, nel dialogo coi personaggi dei familiari, dice una battuta che la sceneggiatura ritiene necessaria anche per gli spettatori, è costretta a enunciarla anche a voce, e questo un’idea di finto.
In ogni modo, la scena in cui, mentre Ruby canta sul palco con la famiglia in platea, il sonoro svanisce e così anche noi spettatori siamo precipitati nella bolla di silenzio della sordità è di gran lunga la migliore del film. Che poi CODA abbia vinto l’Oscar in un’edizione in cui era in competizione – per esempio – il magnifico Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson,
grida vendetta al cielo e questo nessuno lo negherà.

Nessun commento: