giovedì 21 novembre 2019

L'ufficiale e la spia

Roman Polanski


Ogni autore trasfonde nelle sue opere molto di sé, ma Roman Polanski è particolare nel mettere dentro i suoi film i tratti di una biografia dolorosa. L'esperienza infantile del bambino ebreo sotto il nazismo nella Polonia occupata. La vita dello studente e poi giovane regista sotto il comunismo. La condizione dell'esule dopo aver lasciato la Polonia (e non solo). E naturalmente il ricordo dell'orrore di Bel Air.
Anni dopo aver messo in scena con cupa accuratezza la Storia, distruttiva e irrevocabile, ne Il pianista, Polanski è tornato alla ricostruzione storica, ancora sul tema dell'antisemitismo, col bellissimo J'accuse (L'ufficiale e la spia), sul caso Dreyfus. Anche questa notevole ricostruzione, con un gusto pittorico nelle inquadrature che si rifà agli impressionisti, si fonde con le ossessioni dell'autore. Già la potente scena iniziale è molto polanskiana. L'ordine perfetto dei soldati schierati su tre lati, altrettanto gelido quanto il movimento di macchina che lo rivela, dipinge un mondo coalizzato contro un individuo.
La scena citata mostra la degradazione di Dreyfus (e la gioia dell'establishment militare francese nel vedere schiacciato l'ufficiale ebreo). Il film si svolge però dopo la deportazione di Dreyfus all'Isola del Diavolo. L'ufficiale Georges Picquart (Jean Dujardin), un uomo inflessibilmente onesto (non diciamo un uomo perfetto), ha contribuito all'accusa contro Dreyfus. Messo a dirigere il Deuxième Bureau, il servizio di intelligence dell'esercito, scopre che Dreyfus era innocente e le prove erano false. J'accuse mette in scena un puzzle – simboleggiato dai pezzetti di carta strappata e ricomposta che compaiono nel film – come in tanto cinema polanskiano (per esempio Frantic). Pessimismo esistenziale di Polanski! La prova dell'innocenza nasce dal caso, proprio come è nata dal caso l'accusa (per la somiglianza fra due calligrafie), anche se poi su questo ha fatto aggio l'antisemitismo.
Merita notare che se Picquart è un eroe, perché sa a cosa va incontro (pur con un minimo di ingenuità iniziale), Dreyfus si è trovato nella situazione classica dei personaggi di Polanski il cui mondo crolla improvvisamente sotto l'irruzione dell'assurdo. Che qui è un'accusa infondata e la condanna dopo un processo folle – dove compare il famoso Bertillon, l'inventore del sistema antropometrico, che nel film fa una figura che definire barbina è dir poco.
Picquart si batte per la riapertura del processo, e così si mette contro tutto il sistema, fino ad affrontare la rovina della carriera, il linciaggio morale e anche la prigione. Se Dreyfus, in quanto ebreo, è visto come uno straniero dagli antisemiti, anche il protagonista finirà per condividere la stessa sorte. Un gesto ricorrente di Picquart è di slacciarsi il colletto nell'atmosfera soffocante del suo ufficio di capo dell'intelligence dove non si riesce ad aprire la finestra bloccata – e c'è tutto Polanski in questo senso di soffocamento. L'universo è una macchina maligna.
Contro Picquart sono coalizzate le gerarchie militari, volti rugosi di vecchi incattiviti; ed ecco riapparire il concetto polanskiano di una cospirazione di vecchi potenti e maligni contro la vita – dai satanisti di Rosemary's Baby ai vampiri di Per favore, non mordermi sul collo. In questo si può vedere il riflesso della sua esperienza di vita sotto il comunismo, che, non dimentichiamo, era una gerontocrazia.
Ma c'è di più. Nel sistema ossificato della Terza Repubblica francese, chiuso nella propria autodifesa, Polanski vede i prodromi del totalitarismo del Novecento. Non solo vediamo roghi di libri e vandalismi contro i negozi ebrei che alludono direttamente al nazismo. In precedenza, nella sua visita alla sede del Deuxième Bureau come nuovo capo, sotto la guida del capitano Henry, Picquart vede gli addetti che aprono la corrispondenza altrui. Picquart: “Sono lettere private?” – Henry: “Lo erano”. Come non ricordare la scena de Le vite degli altri di Donnersmarck con gli agenti della Stasi che aprono le lettere come in una catena di montaggio. Qui ne vediamo gli inizi artigianali. E dopo la perquisizione nell'appartamento di Picquart, il caos lasciato col suo senso di violazione (proprio come il furto in casa ne L'inquilino del terzo piano) ci riporta anch'esso al totalitarismo.
Non c'è salvezza, nel cinema di Polanski, se non per il gioco cieco del caso, e anche la salvezza riproduce una circolarità. Il film si conclude con un freddo incontro burocratico, anni dopo, fra Dreyfus e Picquart, ora ministro, che respinge una sua richiesta. Una didascalia ci dice che “I due uomini non si incontrarono più”.

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