Opera
dell'attrice diventata regista Ngo Thanh Van (Veronica Ngo), Tam
Cam si potrebbe definire la risposta asiatica ai recenti film
americani sui personaggi fiabeschi. Anch'esso prende una fiaba e la
“attualizza” sullo schermo: è la versione vietnamita di
Cenerentola, però essa si risolve dopo meno di mezzora; il resto
dello svolgimento ne contiene un'altra, con le continue
trasformazioni della protagonista per proteggere suo marito il
principe; non manca un malvagio stregone; alla fine c'è anche una
reminiscenza visiva de La Bella e la Bestia. Il tutto è
incrociato con un'avventura guerresca condita di arti marziali,
riprendendo gli scontri a mezz'aria del wuxiapian e rubando,
con meno mezzi, un po' d'imagerie a Zhang Yimou.
Va
detto che mentre i film “fiabeschi” americani tendono a rendere
più realistico, Tam Cam racconta la fiaba di Cenerentola con
una buona dose di tongue in cheek. La prima parte ha una
consapevolezza ironica piacevolissima: il genio padrino dalla lunga
barba bianca (al posto della fata madrina europea) dice a
Tam/Cenerentola disperata per i maltrattamenti: “Non ti stanchi mai
di piangere tutto il tempo? Mi stanco io solo a guardarti!” (o
anche: “Mai incontrato nessuno sfortunato come te”). C'è perfino
un singolo scherzo metanarrativo, quando la matrigna entra in scena
dicendo “Non voglio recitare la parte della matrigna cattiva”, e
poi ci si butta con autentico abbandono, insieme alla (unica)
sorellastra.
Il
dialogo spiritoso e l' ironia
leggera (il villain,
quando appare, manca poco che abbia un cartello con scritto “Sono
il cattivo”) servono a una narrazione di voluta semplicità, che
potrei definire disneyana nel vecchio senso. Dopo la conclusione
della “sezione Cenerentola” del film, il tono diventa un po' più
cupo e vira di più sull'avventuroso e sul wuxia,
senza perdere
l'elemento magico. La conclusione mette poi in scena uno scontro fra
mostri che rientra totalmente nel fantasy avventuroso.
Va
detto subito qui che la CGI
del film è, come capita a volte in Oriente, un po'
artigianale, ben lontana dal realismo, diciamo,
di Kong – Skull Island. Ma
siccome il film dispone bene,
una certa ruvidezza non
disturba: anche perché i due
mostri che
si battono nello scontro
finale ricordano in modo
incredibile (penso però
che sia un caso, non una
citazione) le creature
in stop motion di Ray
Harryhausen, e quindi provocano
un delizioso sussulto
di nostalgia.
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