martedì 9 maggio 2017

Tam Cam: The Untold Story

Ngo Thanh Van

Opera dell'attrice diventata regista Ngo Thanh Van (Veronica Ngo), Tam Cam si potrebbe definire la risposta asiatica ai recenti film americani sui personaggi fiabeschi. Anch'esso prende una fiaba e la “attualizza” sullo schermo: è la versione vietnamita di Cenerentola, però essa si risolve dopo meno di mezzora; il resto dello svolgimento ne contiene un'altra, con le continue trasformazioni della protagonista per proteggere suo marito il principe; non manca un malvagio stregone; alla fine c'è anche una reminiscenza visiva de La Bella e la Bestia. Il tutto è incrociato con un'avventura guerresca condita di arti marziali, riprendendo gli scontri a mezz'aria del wuxiapian e rubando, con meno mezzi, un po' d'imagerie a Zhang Yimou.
Va detto che mentre i film “fiabeschi” americani tendono a rendere più realistico, Tam Cam racconta la fiaba di Cenerentola con una buona dose di tongue in cheek. La prima parte ha una consapevolezza ironica piacevolissima: il genio padrino dalla lunga barba bianca (al posto della fata madrina europea) dice a Tam/Cenerentola disperata per i maltrattamenti: “Non ti stanchi mai di piangere tutto il tempo? Mi stanco io solo a guardarti!” (o anche: “Mai incontrato nessuno sfortunato come te”). C'è perfino un singolo scherzo metanarrativo, quando la matrigna entra in scena dicendo “Non voglio recitare la parte della matrigna cattiva”, e poi ci si butta con autentico abbandono, insieme alla (unica) sorellastra.
Il dialogo spiritoso e l' ironia leggera (il villain, quando appare, manca poco che abbia un cartello con scritto “Sono il cattivo”) servono a una narrazione di voluta semplicità, che potrei definire disneyana nel vecchio senso. Dopo la conclusione della “sezione Cenerentola” del film, il tono diventa un po' più cupo e vira di più sull'avventuroso e sul wuxia, senza perdere l'elemento magico. La conclusione mette poi in scena uno scontro fra mostri che rientra totalmente nel fantasy avventuroso.
Va detto subito qui che la CGI del film è, come capita a volte in Oriente, un po' artigianale, ben lontana dal realismo, diciamo, di Kong – Skull Island. Ma siccome il film dispone bene, una certa ruvidezza non disturba: anche perché i due mostri che si battono nello scontro finale ricordano in modo incredibile (penso però che sia un caso, non una citazione) le creature in stop motion di Ray Harryhausen, e quindi provocano un delizioso sussulto di nostalgia.



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